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 2014  febbraio 06 Giovedì calendario

NELLA LIBIA ALLO SBANDO TRA ATTENTATI E ARIA DI GOLPE


Tripoli «Sai cosa c’è rimasto di legale in Libia?Solo l’ora perché ormai il gover­no non riesce più a cambiare neppure quella». Paolo Greco, un avvocato ita­liano trasferitosi oltre dieci anni fa a Tripoli e specializzato nell’assistere i connazionali impegolati in Libia sorri­de, ma non scherza. Alle sette e trenta di mattina a Tripoli si naviga ancora nel buio pesto. Tra le pieghe di quel­l’oscurità s’intravvede l’insipienza di un governo incapace persino di rialli­neare il Paese all’ora solare. Ma in quel­l’oscurità si mescolano e si confondo­no le voci che danno per imminente una nuova rivolta, un’ulteriore salto nel buio. Un salto che forse solo l’inat­tesa conquista della coppa d’Africa di calcio strappata ai rigori ai grandi favo­riti del Ghana potrebbe evitare.
La data fatidica per il carpiato all’in­dietro capace di far riprecipitare la no­stra ex colonia negli abissi di una nuo­va­rivoluzione è quella di venerdì 7 feb­braio. Domani, in base agli accordi, i membri del Congresso Nazionale, eletto il 7 luglio del 2012, dovrebbero abbandonare le poltrone e tornare al­la vita civile. Ma poiché tutto il mondo è paese neppure i politici libici sono di­sposti a rinunciare troppo in fretta ai propri privilegi. Non prima almeno di quel 20 febbraio in cui si eleggerà l’as­semblea incaricata di redigere la pri­ma Costituzione post gheddafiana.
In un Paese dove l’esecutivo guidato dal premier Alì Zeidan a stento control­la il centro della capitale e dove le mili­zie locali, quelle islamiste e le nuove formazioni al qaidiste si confrontano a colpi di bombe e kalashnikov l’attac­camento alla poltrona rischia però di generare disastrosi terremoti. Da setti­man­e si sussurra di un tentativo di gol­pe pronto a scattare il 7 febbraio. Chi ci sia dietro nessuno sa dirlo con esattez­za. Qualcuno punta il dito su Giustizia e Ricostruzione, il partito apparentato con quei Fratelli Musulmani finanzia­ti dal Qatar che speravano di sostituire Gheddafi nella gestione del Paese. Qualcun altro ipotizza una sollevazio­ne delle milizie al potere nella città sta­to di Misurata o ne territori berberi di Zintan. Altri ipotizzano un colpo di ma­no dei «federalisti», i miliziani che in Cirenaica occupano le installazioni petrolifere e minacciano d’imposses­sarsi del petrolio libico per poi riven­derlo al miglior offerente e incassarne i proventi. Qualcun altro infine teme un colpo di mano di Ansar Sharia, la formazione legata ad Al Qaida che-do­po l’uccisione dell’ambasciatore ame­ricano Chris Stevens a Bengasi - ha esteso la propria influenza a molte zo­ne della Cirenaica e del Sud del Paese. Comunque sia il Paese non è certo un’oasi di tranquillità.
A Tripoli il ministro degli Interni Sa­diq Aldulkarim è scampato per mira­colo ad un attentato. A Bengasi una for­mazione armata ha rapito il figlio del capo delle «forze speciali» incaricato di fronteggiare Ansar Sharia e le mili­zie fondamentaliste. Il 19 gennaio scorso il capo di Stato maggiore gene­rale Mohamed Karah è caduto, inve­ce, nel corso di un’operazione nei quartieri meridionali della capitale in­festati da criminali e bande armate. E una settimana prima è passato a mi­glior vita il sottosegretario all’indu­stria Hassan al- Droui, crivellato di col­pi durante una visita nelle città natale di Sirte. Così tanto per non rischiare molte ambasciate raccomandano ai propri cittadini di abbandonare il pae­se. «Non vogliamo drammatizzare la situazione, ma per ogni evenienza vi consigliamo una vacanza in Italia al­meno fin dopo le elezioni del 20 febbra­io »,suggerisce domenica sera l’amba­sciatore italiano Giuseppe Buccino Grimaldi ai principali imprenditori ita­liani convocati in Ambasciata. Pro­pri­o in quelle ore a Città del Capo si gio­ca una partita in grado di cambiare i de­stini della nostra ex colonia. La nazio­nale libica, una squadra di sconosciuti giocatori ragazzini messa insieme in tutta fretta dall’allenatore spagnolo Ja­vier Clemente travolge ai rigori i favori­ti del Ghana e conquista, per la prima volta nella storia, la Coppa d’Africa. A pochi giorni di distanza quella prodi­giosa e inaspettata vittoria sembra la replica del miracolo italiano del luglio 1948 quando-all’indomani dell’atten­tato a Togliatti - Bartali conquista il tour di Francia e salva l’Italia dalla guerra civile. Ovviamente mentre il Pa­ese fa festa, mentre le strade si riempio­no di cortei per il quinto giorno di se­guito e i giocatori ragazzini diventano i nuovi eroi nazio­nali qualcuno nelle retrovie la­vora per attizza­re il sospetto. In Cirenaica i soste­nitori dei federa­listi e i «barbuti» vicini ai fratelli musulmani so­no pronti a scom­mettere che l’inattesa vittoria non sia il frutto delle scelte di Jan­vier Clemente né, tantomeno, delle strepitose parate del portie­re Mohammad Nashnoush ele­vato da scono­sciuto debuttan­te­a ispirato salva­tore della patria. Per chi ama il sospet­to e punta sul caos quella vittoria non è stata conquistata sul campo, ma in quelle retrovie del mondo calcistico dove ogni partita può avere un prezzo. E a riscaldare le convinzioni di mal­pensanti e congiurati travolti da un’inattesa ondata di gioia e orgoglio nazionale s’aggiunge la decisione di far atterrare la nazionale vittoriosa non a Tripoli, ma a Bengasi, il capoluo­go della Cirenaica culla di fondamen­talisti, secessionisti e rivoltosi. Decisio­ne non proprio peregrina visto che da Bengasi scaturì- in un fatale 17 febbra­io di tre anni fa - la scintilla capace di bruciare in pochi mesi 40 anni di pote­re gheddafiano. Ma chi - rassicurato dal clima di festa continua e felicità col­lettiva - è rimasto nel Paese farà me­glio a camminar rasente ai cornicioni. Tra la folle libiche in tripudio pistole e mitragliatrici sono assai più diffuse di petardi e mortaretti. E dalla fine della rivoluzione ad oggi i proiettili sparati in aria ed «inaspettatamente» ricaduti hanno cancellato, solo a Tripoli, più di 300 vite.