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 2014  febbraio 06 Giovedì calendario

LA BCE PUÒ E DEVE AGIRE CONTRO LA DEFLAZIONE


La promessa della Banca centrale europea di fare «tutto il possibile» ha stabilizzato l’euro, ma la sua esitazione nel contrastare l’inflazione bassa o addirittura la deflazione, minaccia la stabilità nel lungo periodo. Serve un’azione più forte. L’inflazione nell’eurozona è in costante diminuzione dalla fine del 2011 e attualmente è allo 0,7%, di gran lunga inferiore all’obiettivo della Bce ma vicina al 2%. Le previsioni generali sull’inflazione sono dell’1,1% nel 2014, mentre secondo gli indicatori di mercato dovrebbe mantenersi ben al di sotto dell’1,4% nei prossimi cinque anni. È evidente che l’eurozona sta subendo forti tendenze disinflattive. L’esito degli stress test e la revisione della qualità degli attivi potrebbe portare le banche a diminuire ulteriormente il prestito e anche il rischio globale e un apprezzamento dell’euro potrebbero minare la ripresa. Inoltre, i rischi deflattivi sono molto alti mentre il rischio di sforare l’obiettivo è minimo. Eppure, in molti Paesi europei la sostenibilità del debito sembrerà illusoria con tassi d’inflazione bassi e in calo. Un debito non sostenibile, poi, scatenerebbe senz’altro un’altra crisi. Allora che cosa si può fare?
1. Bisognerebbe cominciare con una politica monetaria più aggressiva. Lo scorso anno, la riduzione del tasso Bce è stata troppo lenta. Il dibattito pubblico in Germania - secondo il quale tassi bassi riducono il rendimento sul risparmio dei tedeschi - non dovrebbe influenzare le decisioni della Bce. La politica monetaria genera, per la sua stessa natura, conseguenze distributive. La legittimità della Bce dipende esclusivamente dalla sua capacità di assolvere il suo mandato che prevede di contribuire al raggiungimento degli obiettivi dell’Unione europea, tra i quali una maggiore coesione sociale ed economica, una volta assolto il suo primo obiettivo ovvero la stabilità dei prezzi. Sicuramente, l’attuale disinflazione minaccia la coesione come minaccia la sostenibilità del debito periferico.
Un’ulteriore riduzione del tasso Bce combinato a un’altra operazione di rifinanziamento a lungo termine sarebbe naturale e perfettamente in linea con il mandato dell’Istituto centrale.
2) La Bce dovrebbe intraprendere delle misure per agevolare il flusso di credito verso imprese e famiglie, ancora debole nella periferia dell’eurozona. Certo, una parte della frammentazione finanziaria è la conseguenza della riparazione dei bilanci delle banche ancora da ultimare e dovrebbe essere affrontata con la prossima revisione della qualità degli attivi e con gli stress test. Tuttavia la politica monetaria dovrebbe essere usata per aumentare il flusso di credito ed evitare il rischio di deflazione. L’esperienza dell’ultima operazione di rifinanziamento a lungo termine (Ltro, Long-term refinancing operations round) è stata mista perché buona parte della liquidità supplementare è andata nell’acquisto di titoli di stato invece che nel credito alle imprese. La Bce dovrebbe dunque dire chiaramente che nella revisione della qualità degli attivi penalizzerà i titoli di stato, spingendo così il credito verso l’economia reale. Un altro strumento potrebbe essere l’abbassamento degli standard collaterali per il credito alle imprese.
3) Nonché il punto più controverso: l’acquisto di asset. L’acquisto di obbligazioni corporate e di portafogli prestiti venduti dalle banche sarebbe relativamente incontestabile e migliorerebbe le condizioni di credito nella periferia dell’eurozona. Anche mettere fine alla sterilizzazione dei passati acquisti di titoli di stato sarebbe incontestabile e porterebbe liquidità ai mercati. Più opinabile sarebbe acquistare un portafoglio di titoli di stato: ridurrebbe lo spread fra la periferia e il centro dell’eurozona, ma la sua efficacia generale è discutibile e non aumenterà molto la crescita e l’inflazione nel cuore dell’eurozona. Le condizioni di finanziamento alle imprese in Francia e Germania sono già molto favorevoli e le aziende tedesche in particolare si affidano a un generoso finanziamento interno per i loro investimenti. Per la periferia, tuttavia, il programma dell’Outright monetary transactions (Omt), ovvero lo scudo anti-spread, sembra essere il più adeguato come misura di ultima istanza poiché richiede una valutazione e una condizionalità della solvibilità del debito.
Ma, soprattutto, è auspicabile un’azione monetaria più forte e in questo la Bce non dovrebbe travalicare il suo mandato. In particolare, la periferia dell’eurozona trarrebbe beneficio da un’altra operazione di rifinanziamento a lungo termine e da misure di agevolazione del credito. Il cuore dell’eurozona, e specialmente la Germania, ha bisogno di riforme collaterali di sostegno che riducano la pressione fiscale sulla classe media e aumentino l’investimento pubblico per rinvigorire la crescita e far aumentare l’inflazione. La politica monetaria deve fare di più, ma c’è anche bisogno di un’azione più decisa da parte dei Governi.

(Traduzione di Francesca Novajra)

Guntram B. Wolff è direttore del centro europeo
di studi economici Bruegel