Carola Uber, Chi 5/2/2014, 5 febbraio 2014
GLI ULTIMI GIORNI DI PASOLINI
MILANO FEBBRAIO
Se fosse vivo, Pier Paolo Pasolini avrebbe quasi 82 anni. Il 2 novembre 1975 il suo corpo inanime fu ritrovato all’idroscalo di Ostia. Lo scrittore, poeta, regista, giornalista (e altro ancora) aveva 53 anni. Pino Pelosi, il ragazzo di vita che confessò l’omicidio (per poi ritrattare 30 anni dopo) ne aveva 17. Sono passati trentotto anni, ma quella morte ancora controversa e la figura stessa di uno dei massimi intellettuali del secolo scorso (Alberto Moravia al suo funerale disse: «Quando sarà finito questo secolo, Pasolini sarà tra i pochissimi che conteranno come poeta») continuano ad affascinare il mondo della cultura internazionale. L’ultimo a caderne “vittima” è stato il regista americano Abel Ferrara, che sul caso Pasolini sta girando un film proprio in questi giorni a Roma, con Willem Dafoe nei panni di protagonista. E con un collaboratore speciale, Ninetto Davoli, l’amico più intimo di Pasolini: il regista, cantore del sottoproletariato, lo conobbe a 14 anni in una baraccopoli alla periferia di Roma e ne fece un attore (a partire da Il Vangelo secondo Matteo, 1964, seguito dal ruolo da protagonista in Uccellacci e uccellini con Totò, 1966).
Domanda. Il film racconta le ultime 48 ore di vita di Pasolini. La sera dell’omicidio avevate cenato insieme e il riconoscimento del corpo toccò a lei. Che effetto le fa tornare a quei giorni?
Risposta. «Si tratta di tirare fuori ricordi e sentimenti... Ma non è la prima volta, anche in altre occasioni (come per il film di Marco Tullio Giordana Pasolini, un delitto italiano, 1995) sono stato chiamato a dare il mio contributo. D’altronde ho conosciuto Pier Paolo a 14 anni e fino alla sua morte siamo stati legatissimi. Ferrara e Dafoe sicuramente lo conoscono attraverso i suoi film, ma caratterialmente, come persona, come uomo, l’anima artistica e poetica, come vestiva, come parlava, glielo posso, raccontare meglio io».
D. Avrà una parte anche lei?
R. «Sì, non me stesso, ma Eduardo De Filippo, che Pasolini voleva in uno dei suoi ultimi progetti, I magi randagi. Ferrara metterà in scena spezzoni di quel che Pier Paolo stava scrivendo».
D. E chi farà Ninetto Davoli?
R. «Riccardo Scamarcio. E poi c’è anche Adriana Asti, che farà la mamma di Pier Paolo».
D. Ferrara nell’anticipare questo film ha detto che vi svelerà chi ha ucciso Pasolini.
R. «Mah, penso che l’abbia un po’ sparata. Io sulla vicenda ho una mia teoria, che si discosta da quella ufficiale, ma è il mio pensiero e non ho prove, quindi non ha nessun valore. L’ho raccontato anche ad Abel, che forse ne terrà conto nel film. E, quando uscirà, io sarò felice di aver dato il mio contributo nel raccontare una certa verità e soprattutto nel far conoscere Pier Paolo a tutto il mondo. È per questo che sto anche scrivendo un libro».
D. Chi era Pier Paolo?
R. «Una persona di una vitalità e di una consapevolezza della vita infinite. Era buono, forte, sportivo, pieno di entusiasmo e di progetti. Come fai a pensare che uno così possa morire? E infatti un pensiero del genere non mi aveva mai sfiorato. Pier Paolo era unico e unico rimarrà. Questa società in crisi l’aveva già descritta 50 anni fa. E lui che amava la povera gente oggi non avrebbe preferiti, perché siamo tutti, ricchi e poveri, dei soldatini, tutti schiavi del consumismo».
D. Le manca ogni tanto?
R. «Mi manca sempre. Chiaramente la sua scomparsa per me è stata una tragedia, una tragedia morale. Però, poi, vai avanti lo stesso, accetti la realtà delle cose e continui a fare quello che sai fare. E ciò che so fare l’ho imparato con lui, recitare. Ogni volta che mi arriva un copione lo interpello, guardo in alto e dico: “A Pa’, che dici, lo devo fare ‘sto film, tè piace?».
D. E lui le risponde?
R. «Me risponde, me risponde. Io Pier Paolo lo sogno tutte le sere: mentre stiamo lavorando, su un set, mentre giochiamo a pallone, io forte, lui veloce e tecnico (da ragazzo lo chiamavano Stuka, come l’aereo da combattimento tedesco). E a volte nel sogno gli dico: “A Pa’, ma tu sei morto”. E lui: “Ma che morto! Son qui, ti sembro morto?”».
D. Pasolini era omosessuale e spesso si è parlato di lei come del suo compagno.
R. «Sicuramente Pier Paolo era più di un amico: l’affetto era profondo, gli volevo un bene serio, ma non quel bene che si vuole a un compagno. Mentre per lui era una cosa un po’ diversa. E quando mi sposai, nel 1973, gli diedi una delusione. Si sentì tradito e trascurato (Maria Callas gli scrisse: «Ti attaccavi a un sogno fatto da te solo», ndr).
D. Quando pensa a lui ricorda un momento particolare?
R. «Come potrei? La nostra vita è stata talmente piena di cose, casa mia è tappezzata di foto di lui con me, i miei figli (Pier Paolo e Guido Alberto), mia moglie. Ho tutti i suoi mobili, studio, divani, tende, lampadari; tutti i suoi vestiti... Le pare che posso immaginarmelo in un solo momento? Ce l’ho qua».