Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  febbraio 05 Mercoledì calendario

NON PARLA INGLESE BOICOTTATE LA COCA COLA


Fanno sempre discutere, perché una platea come quella del Super Bowl è un piatto ghiotto per i pubblicitari e stuzzicare una polemica fa parte del mestiere del far parlare di sé. Stavolta tocca alla Coca Cola che con grande dispetto di Tea Party e destre Usa – ha lanciato sulle note di «America the beautiful» una provocazione maiuscola. Solito collage di gente felice, qualche scenario inconfondibilmente made in Usa e ovviamente la bevanda frizzante. Facce di tutti i colori ed ecco lo scandalo. In breve: quello che è considerato l’inno americano – anche se non lo è ufficialmente – fa da sottofondo allo spot: comincia in inglese, vira sullo spagnolo e via via aggiunge una lingua dopo l’altra, sette in tutto, incluso l’hindi e l’ebraico. Insomma diventa un inno dell’America multicolor, l’elogio di una società aperta, dove c’è spazio – e ovviamente Coca Cola – per tutti. «La diversità che ha fatto grande questo Paese», per dirla con le public relations della company.
Neanche il tempo di mandare in onda lo spot che su Twitter compare l’hashtag #BoycottCoke, accanto a fuckcoke. L’ex parlamentare repubblicano Allen West si precipita a commentare sul suo blog: «Se non possiamo essere abbastanza orgogliosi come Paese per cantare “America the Beautiful” in inglese, siamo sulla strada della perdizione». Todd Starnes della Fox Radio in un tweet condisce la sua disapprovazione di una polemica politica: «Dunque, la Coca Cola ci sta dicendo che l’America è meravigliosa perché i nuovi immigranti non parlano inglese? La Coca Cola è la bevanda ufficiale dei clandestini che attraversano i confini illegalmente». C’è chi si indigna, chi accusa la Coca Cola di comunismo, chi di sostegno al terrorismo per via della ragazza con il velo che appare nello spot. E c’è anche chi minaccia di passare patriotticamente alla Pepsi.
Uno shock, #ThanksObama, grazie presidente, «Parlate il fottutissimo inglese». Con la Casa Bianca pronta a sfidare il Congresso per avviare alla cittadinanza 11 milioni di clandestini, è facile sfiorare nervi scoperti. Ma l’America non è tutta qui, non lo è più, non è solo il fortino assediato da una moltitudine di persone non bianche, che non parlano inglese e spesso pregano in modo diverso. #ThisisAmerica, questa è l’America, è l’hashtag che risponde agli insulti e alle paure che volano su Twitter. L’America è il Paese dove tra trent’anni – non sono poi molti – i bianchi non saranno più la maggioranza e dove già adesso la metà dei ragazzini come meno di cinque anni ha un colore e lineamenti sospetti. «Se vi offende lo spot della Coca Cola, congratulazioni, siete voi quelli sbagliati in questo Paese», twitta uno StevieL. Dean Obeidallah, avi siciliani e palestinesi alle spalle, sul «Daily beast» ricorda che era il 1782 quando il Congresso dettava le coordinate di una nazione composita con l’«E pluribus unum», «Da molti, uno soltanto», il motto degli States che invitava a creare l’unità da una pluralità di esistenze. «E pluribus unum». Qualcuno ricorda, per inciso, che anche il motto non è stato scritto in inglese, ma in latino. C’è da aspettarsi #BoycottLatin?