Michele Neri, Vanity Fair 5/2/2014, 5 febbraio 2014
ASPETTIAMO TRE MESI?
[Ilaria Spada]
HO SBAGLIATO A NON INSISTERE al momento giusto. Quando uno fa una domanda e lei, l’irresistibile ma guardinga Ilaria Spada, risponde con una risata, bisogna tradurla subito in una parola. Le avevo chiesto, aiutato dal titolo del suo prossimo ritorno sul grande schermo – Un matrimonio da favola, di Carlo Vanzina, in arrivo ad aprile – e mentre aveva il 90% del viso bloccato dalle esigenze del trucco, quando avrebbe sposato l’altra metà di un amore fiabesco: Kim Rossi Stuart, il suo «principe», papà del loro Ettore di 2 anni. E lei, con un sorriso, aveva risposto:
«Per ora no».
Quanto dura un «per ora»? Sei mesi?
Risata.
«Tre mesi?».
Risata più scoperta. Sensazione, assolutamente non confermata, di essere vicino alla verità. Non l’ho incalzata, e Ilaria ne ha approfittato per rispondere in calando:
«Il matrimonio non è una cosa da rincorrere, deve capitare l’occasione giusta».
Va bene, riparto dal figlio.
Ettore da chi ha preso?
«Esteticamente da papà. Di carattere è un giocherellone come me».
Due anni fa aveva dichiarato di vivere nella «dimensione batticuore».
«Ora la dimensione è... quella di una grande agitazione, non più solo del cuore, anche del cervello. Dopo la bellezza, c’è la paura».
Quale?
«Cadere da così in alto e perdere questa gioia immensa. Con gli anni guadagni però in consapevolezza. L’altro diventa lo specchio con cui superare le proprie paure, ma solo se ti puoi abbandonare. E ora è così, per la prima volta nella mia vita».
Quindi l’amore non dura solo tre anni.
«Noi siamo lì. Ci sono state evoluzioni, ma per ora sento una crescita e il superamento di ciò che non pensavo di superare».
«L’ho allattato per dieci mesi, il bar aperto 24 ore su 24», ha detto. Dopo una maternità vissuta in modo totale, il puntuale ritorno al lavoro. La sua vita ora è un lungo fiume tranquillo?
«La bella scoperta è che inizio ad accettarmi: la vita è più facile di come credevo».
La sua saggezza?
«L’autoironia: mi ha salvato la vita».
Una brutta abitudine che non molla?
«L’ira-sci-bi-li-tà».
Una cosa che non ha ancora fatto e di cui si vergogna?
«È umiliante: una lavatrice».
L’ultima volta che ha ballato?
«Pochi minuti fa, sotto la doccia».
Mi racconta una storia personale per capire com’è fatta?
«Quando avevo sei anni, la segretaria di mio padre mi regalò un orsetto. Lo portai a mamma, dicendole: se lei mi ha regalato un orsetto, significa che vuole portare via il papà. Il mio cervello era già macchinoso. E non mi facevo certo un problema a dirlo a mamma. I miei genitori ora vivono a Tunisi, la mamma è di lì: quando arrivo, comincio a osservare le segretarie di papà».
Se è così, non ha scelto un compagno riposante...
«Amo mettermi a dura prova. Un giorno sarò pure suocera. Porella mia nuora! Ma ci sto lavorando».
Come?
«Non si può avere il controllo dell’altro, addossargli le proprie insicurezze».
L’impressione Ilaria è la somma di lettere spedite con il francobollo e niente social; di stretching serale davanti al figlio che si addormenta («Il mio respiro lo tranquillizza»), di cautela, quando le dico che forse lei ha umanizzato Kim, riportandolo dagli spazi siderali con i piedi per terra. «Avrei fatto questo? Non mi sono accorta. Però... umanizzato è bello». Di un fiume non così tranquillo: «Morirò con mille dubbi e perché». E del religioso silenzio che cade tra le guardie giurate, chiamate a sorvegliare i gioielli del servizio, e me, non appena lei compare in costume per le foto.