Guia Soncini, Vanity Fair 5/2/2014, 5 febbraio 2014
SE 19 VI SEMBRAN TANTI
AVVERTENZA. QUESTO È UN ARTICOLO PREVEDIBILMENTE INCOMPLETO. Chiunque sia stato prima o poi diciannovenne sa che il numero di casini che si riescono a combinare in poche ore a quell’età supera sempre i pronostici. Figuriamoci poi nel tempo, misurabile in giorni, che intercorre tra la stesura di questo articolo e il vostro leggerlo: se in due giorni un diciannovenne medio riesce a far mettere le mani nei capelli a un adulto un numero X di volte, per Justin Bieber quella X va moltiplicata all’infinito.
Quasi cinquanta milioni di persone che lo seguono su Twitter, il primo disco di platino a quindici anni, centomila americani che firmano una petizione alla Casa Bianca per espellerlo dagli Stati Uniti (su questo poi torniamo), Justin Bieber non ha niente di medio, ma ha ancora molto di diciannovenne: è uno la cui diciannovennitudine è anabolizzata dall’essere il diciannovenne più famoso del mondo.
La fama non è un meccanismo semplice da gestire da grandi, figuriamoci quando hai un’età per la quale, negli Stati Uniti, devi falsificare un documento se vuoi comprare una birra. Per comprare una birra devi avere ventun anni, per diventare una celebrità mondiale e l’idolo delle adolescenti non c’è un’età minima. Forse dovrebbe. Forse essere famosi è uno stato talmente a rischio che per accederci dovrebbero servire nervi saldi ufficialmente certificati. Di sicuro è un amplificatore del quale nessuna diciannovennitudine è all’altezza.
IL ROMANZIERE STEPHEN KING ha scritto, su Twitter, una riflessione che è quasi un anatema: «Promemoria per Justin Bieber: per le giovani celebrità, la vita è un banchetto a sbafo. Quel che non ti dicono è che spesso l’ultima portata sei proprio tu».
Gli esempi di bambini divorati al banchetto della fama sono noti, e le obiezioni anche. Per ogni psiche devastata dalla notorietà, per ogni Michael Jackson citato a sostegno della tesi «vietiamo lo star system ai piccini», c’è una Jodie Foster che dimostra che, tutto sommato, si può crescere sotto i riflettori senza andare poi troppo fuori di testa.
Però solo di recente la celebrità è diventata un meccanismo così invadente. Solo adesso il ciclo di notizie è continuo e tutto, dai fotografi ai social network, è così ingombrante. Essere una baby star ai tempi di Elizabeth Taylor era molto meno nevrotizzante.
L’EVENTUALE DIVIETO DI FAMA per i minori sarebbe di difficile adempimento, tra le altre ragioni, perché a proteggerli dovrebbero essere i genitori, rinunciando così ad avere un figlio che li trasformi da famiglia qualunque in milionari. L’ambizione del genitore che ti butta nello star system diventa socialmente rispettabile se il suo è un tentativo che ha successo. La differenza tra l’Anna Magnani che in Bellissima costringeva la figlia a fare provini, e Pattie Mallette, che si è ritrovata mamma di Justin a diciassette anni ed era determinata a farsi riscattare dai trionfi del figlio da una vita da ragazza madre, sta nel fatto che la figlia della Magnani non era materiale da successo, e il piccolo Justin è diventato famoso. La fama è faticosa ma anche attraente: chissà se Jeremy Bieber sarebbe un padre così presente nella vita di un ragazzino nato per errore quand’era un ragazzino anche lui, se quell’adolescente non stesse sui poster.
Britney Spears aveva venticinque anni quando il suo esaurimento da fama ebbe la sua più clamorosa manifestazione: nella stessa sera, si rapò a zero e prese a ombrellate una macchina di paparazzi. Era entrata a far parte del Mickey Mouse Club a undici anni e aveva inciso il primo disco a diciassette.
Justin Bieber ne aveva dodici quando mamma Pattie mise per la prima volta un suo video su YouTube, tredici quando un discografico lo notò e lo mise sotto contratto, diciannove la settimana scorsa, quando è riuscito nel giro di pochi giorni a farsi arrestare due volte. Per aver aggredito un autista di limousine in Canada (il processo si terrà a Toronto in marzo, e l’aggressione risalirebbe al 30 dicembre; per aggressione l’ha denunciato, l’anno scorso, anche un paparazzo che l’aveva fotografato mentre fumava marijuana). E per essere stato fermato mentre guidava a Miami: le accuse sono di aver superato i limiti di velocità, di aver fatto resistenza all’arresto, di aver avuto una patente scaduta, e di essere stato sotto l’effetto di alcol, marijuana e Xanax (un tranquillante che finora eravamo più abituati ad associare alle quarantenni nevrotiche, come la Blue Jasmine di Woody Allen, che alle popstar sì e no maggiorenni). L’udienza si terrà il giorno di San Valentino.
Mamma Pattie dà la colpa alle «brutte influenze nell’industria dell’intrattenimento», dice che le radici cristiane delle persone perbene vengono messe a dura prova e ci chiede di pregare per lei e per il figlio. Papà Jeremy, per rassicurare il pubblico circa la serenità del primogenito dalle uova d’oro, mette su Twitter una foto di Justin che dorme assieme al fratellastro quattrenne. Non lo lasciano in pace neanche quando dorme, non c’è da meravigliarsi se si ribella come farebbe un ragazzino, con l’aggravante d’essere un ragazzino miliardario.
NELLE ULTIME SETTIMANE avrebbe, tra le altre cose, lanciato uova contro la casa di un vicino e scialato 75 mila dollari in spogliarelliste in una sola sera. Se fosse il figlio del nostro vicino di scrivania, sarebbero le (costose) bravate di un ragazzino. Siccome è un ragazzino che fa notizia, la spogliarellista mette la foto del mucchio di banconote su Twitter, e non è una scena del nuovo film di Scorsese ma l’ennesimo scandalo che alimenta il mito dell’autodistruttività di Bieber, che osserviamo con lo sguardo «Vediamo quanto ci mette a schiantarsi» che prima riservavamo a Amy Winehouse.
Siccome è il ragazzino più visibile del mondo, è (testuale) «un pessimo esempio per i giovani americani» e deve essere cacciato dal Paese, secondo centomila cittadini statunitensi che hanno firmato una petizione (la regola dice che, se una petizione ha più di centomila firme, la Casa Bianca è tenuta a dare risposta: come se Obama non avesse cose più serie di cui occuparsi).
La mia parte ottimista vuole credere che siano centomila firme di Directioners, le fan del gruppo One Direction, schieramento opposto alle Beliebers (le fan di Justin Bieber si chiamano con una sola lettera di differenza da believer, la parola inglese per dire «credente»: Justin Bieber è l’oppio dei popoli, o almeno di quella parte dei popoli che ha ancora l’età per scrivere i ritornelli delle canzonette sul diario).
La mia parte ottimista non vuole credere che ci siano centomila adulti che s’incomodano a chiedere al presidente degli Stati Uniti di cacciare il pericoloso adolescente (Bieber è canadese, il visto per artisti con cui si trova negli Usa viene revocato in caso di crimini gravi: è ragionevole prevedere che la Casa Bianca dica di non poter far niente).
Se ci fossero, però, mi piacerebbe chieder loro: ma voi i vostri diciannove anni ve li ricordate?
CERTO, SE OGGI SEI UN ADULTO hai avuto il vantaggio di avere diciannove anni in un tempo in cui non c’erano Facebook, YouTube, o altri rapidi mezzi di pubblico ludibrio per i comportamenti inadeguati (cioè la maggior parte dei comportamenti che si hanno a un’età alla quale, come nella canzone di Guccini, «si è stupidi davvero»). Certo, uno psicoanalista direbbe che due arresti in una settimana sono un grido di aiuto, un tentativo di comunicare malessere, un segnale che va raccolto. Ma forse il segnale non è «Voglio morire giovane»: forse è «Voglio avere davvero diciannove anni».
A novembre una ragazza si è filmata col cellulare di fianco a Justin che dormiva, ha pubblicato il video su Internet, e dopo un minuto era su tutti i tabloid. Non sarebbe poi un’ambizione così strana voler essere un diciannovenne lasciato in pace almeno quando dorme; uno che, se finisce a letto con una coetanea e quella lo fotografa, al massimo si ritrova inviato come messaggio alle amiche, invece che trofeo sulla stampa mondiale.
Forse quel che la foto segnaletica con sorriso forzato di Justin Bieber ci sta dicendo è: «Non ne posso più di essere l’unico diciannovenne cui per una canna non tocca una sgridata dei genitori ma una petizione alla Casa Bianca». Sarebbe una obiezione ragionevole, no? Lo troverei molto saggio, se non ne potesse più. Molto più saggio di quanto ci si aspetterebbe da un diciannovenne.