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 2014  febbraio 05 Mercoledì calendario

L’AMORE NON SI SPIEGA


[Vincent Cassel]

MI DICE CHE È CONTENTO DELLE FOTO per la copertina di Vanity Fair. E aggiunge, con uno sguardo un po’ ironico e un po’ vanesio: «Mi avete fatto mettere mezzo nudo, ma insomma…». Gli rispondo: e non va bene? Finché si può.
Vincent Cassel scoppia a ridere, si schiaffeggia piano gli addominali a prova di critica e mi fa: «Ha ragione! Mi spoglio finché me lo posso permettere. Poi, la prossima copertina la faremo con addosso il cappotto».
Più passano gli anni (adesso ne ha 47, e da 25 fa l’attore), meno Cassel assomiglia all’immagine di ragazzo arrabbiato che lo ha reso famoso fin dai tempi di uno dei suoi primi film come L’odio, e sempre più assomiglia al padre, una leggenda del cinema francese, Jean-Pierre Crochon, noto con questo nome d’arte – Cassel – che il figlio ha voluto ereditare e che sta onorando con una bella e ricca carriera internazionale.
In questi giorni promuove La bella e la bestia di Christophe Gans, il regista del Patto dei lupi, che sarà fuori concorso al Festival di Berlino e uscirà in sala il 27 febbraio. Tra pochi mesi inizierà a girare, con Salma Hayek, Lo cunto de li cunti, il nuovo film di Matteo Garrone.
Benché il cinema spesso lo usi per rappresentare un modello di maschio spietato e un po’ cattivo (addirittura, la Bestia), di persona Vincent è un gentiluomo cosmopolita ed elegante, conversatore schietto e cortese.
È appena arrivato da Rio de Janeiro e il colorito riflette un’aria di benessere. Gli occhi chiari, sempre rivolti al viso dell’interlocutore, sono sapientemente esaltati dal maglioncino di cashmere celeste e si capisce perché uno così piaccia tanto alle donne e perché, per diciotto anni, sia stato il compagno di un formidabile esemplare del genere femminile come Monica Bellucci, attrice italiana al cui nome i giornali anglosassoni spesso prepongono le parole «insanely beautiful».
C’è un’espressione in portoghese (lingua che Vincent parla alla perfezione, assieme all’inglese, al francese e all’italiano) che definisce le coppie come loro: casal vinte, ovvero «coppia 20», due che si meritano un 10 pieno a testa. Vincent e Monica ne erano il modello vivente. «Erano», perché – come è noto – dall’estate scorsa si sono separati, ma i loro rapporti sono rimasti più che amichevoli, un po’ perché hanno due figlie (Deva e Léonie, 9 e 3 anni) e un po’ perché, come ha detto la stessa Monica proprio a Vanity Fair, «l’amore non finisce, si trasforma».
La versione di Vincent? Leggete qui.

Ma cominciamo con i capelli. Sono completamente grigi! Non ha la tentazione di tingersi come fanno molti suoi coetanei, soprattutto se famosi?
«Lo faccio solo per i film. Una volta ho pensato di continuare a tingermeli anche dopo, ma poi mi sono chiesto: perché? È una schiavitù, e questa idea di investire tante energie nell’apparenza mi pare inutile, ti allontana dalle cose importanti. Poi, le dirò: così grigio non mi dispiaccio affatto».
La bella e la bestia è il remake di un grande classico del cinema francese, regia di Jean Cocteau, 1946: un film-gioiello, intoccabile.
«Io l’ho rivisto di recente e mi sono addormentato. Sì, è interessante vedere come a quei tempi fecero un film con effetti speciali poveri ma efficaci, ma la Bella era un po’ insignificante, e ormai, a parte qualche cinefilo, non credo che il pubblico abbia presente Cocteau. L’unica Bella e la bestia che si conosce è quella di Disney».
Immagino l’abbia visto anche lei.
«Ho due figlie quindi, a occhio, l’avrò visto almeno una ventina di volte».
Molti attori, dopo i 40 anni, si mettono a girare film per bambini, un po’ per far contenti i figli. Penso a Johnny Depp, diventato un eroe disneyano, per esempio. Vale anche per lei?
«Vuole che mi metta a suonare i violini sulle gioie della paternità, mentre promuovo il film? In realtà, penso che quando si fa questo mestiere l’importante è far vedere ai figli tutti i film tranne i propri. Ribadire in casa il fatto che sei un personaggio pubblico non mi pare una grande idea educativa».
Allora mi dirà che questo progetto di film per famiglie è arrivato per caso.
«Il caso non esiste quasi mai. Ho scelto La bella e la bestia perché mi andava di fare qualcosa di diverso. Non voglio essere prevedibile, mi piace l’idea di percorsi spiazzanti. E allora, per una volta: dopo David Cronenberg, dopo Il cigno nero, ecco un film più commerciale. Sì, un film francese ad alto budget, con gli effetti speciali. Una scommessa che, tra l’altro, se funziona al botteghino aiuta l’industria a rigenerarsi e a permettere che altri film costosi e atipici siano prodotti in futuro».
La bella e la bestia è una favola, e tutte le favole finiscono con «Vissero sempre felici e contenti». Nella vita non è quasi mai così, come dimostra anche la fine del suo matrimonio con Monica.
«Ogni coppia è diversa, ogni storia è diversa. Non entro nei dettagli, detesto questa cultura da portineria che sta imperversando in Francia, in questi giorni, con la vicenda Hollande. Davvero è interessante sapere con chi va a letto il presidente della Repubblica?».
Nel vostro caso non ci sono stati gossip, avete annunciato la separazione. Un modo per impedire agli altri di impicciarsene troppo?
«Forse. Tutto quello che posso dirle è che sono felice di avere condiviso diciotto anni di vita con una donna straordinaria come Monica. La adoro e sarò sempre al suo fianco».
Non prova alcuna amarezza per la fine di questa storia?
«No, va tutto benissimo. Niente rimpianti né rimproveri. La vita è così, non si può controllare tutto. Con Monica continuiamo a vederci, a passare insieme molto tempo, a condividere tante cose nell’interesse delle bambine, e non solo. Alla fine, le dirò, non è cambiato niente. È solo che non siamo più sposati».
Lei crede al matrimonio, come istituzione?
«Ho sempre pensato che fosse uno strumento di organizzazione della società, ma in fondo è un atto contro natura».
Per gli uomini o per le donne?
«Per entrambi. Stabilire a priori che cosa si vorrà fare per il resto della vita è impossibile per chiunque».
Però quando ci si innamora è abbastanza naturale sperare che sia «per sempre», no?
«Cambia molto a seconda dell’età in cui ci si innamora. Da adulti, quali siamo io e Monica, si è obbligati a non mentirsi e a guardare le cose per quello che sono. La vita è molto più complessa delle formule che vengono pronunciate in Comune o in Chiesa, per chi è credente. Come si fa a ignorare il tempo che passa, l’evoluzione dei sentimenti? Resta il fatto che Monica è Monica, che abbiamo una famiglia di cui sono orgoglioso e che per me è la cosa più importante».
Il mestiere di attore può essere un ostacolo all’autenticità nei rapporti personali?
«Non il mestiere: è il successo che può essere un problema. Perché facilita tante cose, ma in altre provoca squilibrio. Non puoi fidarti dei sorrisi di tutti e, come dimostra anche questa intervista, ti trovi a dover proteggere la tua intimità. Ma non cambierei mai mestiere perché vivo esattamente come sognavo di vivere. Mi piacciono i viaggi, la libertà e l’agio, anche economico. Volevo lavorare nel mondo e non solo nel mio Paese, e ci sono riuscito. Voglio che tutto questo continui».
Ma lei adesso è single?
«Sì. C’è una canzone brasiliana che si intitola Solteiro no Rio de Janeiro (Scapolo a Rio de Janeiro, ndr). La conosce?».
Veramente no.
«Scapolo a Rio de Janeiro, è quello che posso dirle».

Dopo l’intervista ho controllato: sappiate che Solteiro no Rio de Janeiro è una canzone molto divertente dei Cidade Negra, parla di «flirt, affair e un clima un po’ libertino».

Ed eccoci al Brasile. Un anno fa si è praticamente trasferito. Un modo per sfuggire alla popolarità?
«Non sono mica Brad Pitt! Non prendo voli privati, e giro per Parigi in motorino. Poi, non so se ha presente quanto sono pettegoli i brasiliani. Nel quartiere dove vivo a Rio, tutti sanno tutto e parlano. Ma io me ne frego, perché sto così bene lì, lo stile di vita è semplice e io sono più calmo e più sereno».
Non sta idealizzando il Brasile? Oggi è un Paese molto orientato a diventare una potenza mondiale e lo stile di vita dei brasiliani sta cambiando.
«Lo pensavo anch’io, quando mi sono trasferito un anno fa. Ma mi sono reso conto che, nel bene e nel male, è tutto come prima. I problemi di sempre, con poca gente che ha troppo e troppa gente che ha troppo poco. Ma anche la poesia di sempre: in Brasile si vive il presente, non ci si ossessiona né sul passato né sul futuro. E questo per me è meraviglioso».
È vero che le hanno proposto di interpretare una telenovela?
«Sì, ma ho rifiutato. Se cominci a farne una, poi entri in un meccanismo infernale e non ne esci più. E il tempo che trascorro in Brasile non è un tempo di lavoro».
Quindi che cosa fa?
«Scrivo, leggo e progetto il film che un giorno spero di dirigere. Giro in motorino e poi mi fermo a bere una birra e a chiacchierare anche con gente che non conosco, mi piace parlare portoghese. Il mio rapporto con il Brasile è più profondo e personale di quanto io stesso sia consapevole. Ero bambino quando mio padre mi portò a vedere Orfeo negro, un film brasiliano che a lui piaceva molto. Era la prima volta che andavamo al cinema insieme. Anni dopo, ho riascoltato quelle musiche e mi è scattato qualcosa dentro. Sono andato in Brasile e ho cominciato a tornarci sempre più spesso. Appena ho conosciuto Monica ce l’ho portata. Le nostre bambine parlano un portoghese perfetto e senza accento. Non so come dire, è parte di me. Forse, attraverso il Brasile continuo a cercare quel momento di perfetta intesa con mio padre, chissà».
Destino, karma, cose così?
«Boh, non saprei. Non mi va di usare paroloni. Quando si ama qualcosa o qualcuno, non sempre c’è una spiegazione».