Sciascia Gambaccini, Vanity Fair 5/2/2014, 5 febbraio 2014
PUFF. E LA PAURA È VOLATA VIA
RICONOSCO A OCCHI CHIUSI un Boeing 747 al decollo dal rumore delle turbine, un Airbus A320, invece, produce un suono più elettrico. Potrei andare avanti ore a dimostrarvi le mie conoscenze sugli aeroplani. Per il semplice motivo che alla mia passione per gli aerei si accompagna anche un problema: la paura di volare.
Ne soffre il 53,8% degli italiani, ho scoperto, e di solito non lo esterna aggrappandosi al sedile, ma fa finta di leggere o di dormire, e a volte piange in silenzio come me. «Non aver paura, è il mezzo più sicuro che c’è», ci dicono: ma è come dire di smettere di fumare «che ti fa venire il cancro». Non funziona. Per questo, quando in uno dei miei tanti voli tra New York e Milano, una capo-cabina Alitalia mi ha parlato di un corso chiamato Voglia di Volare, ho subito detto sì. Credetemi: gli assistenti di volo sanno benissimo chi se la fa sotto in aereo, e anche il più blasé dei passeggeri, come cercavo di apparire io con la borsa ultimo modello, può far pena in una notte turbolenta.
e così eccomi seduta un sabato mattina a Fiumicino, all’Alitalia Flight Training Center, in una classe con Ilaria che conduce il gruppo. Il lavoro di Ilaria è proprio quello di training di equipaggi allo Human Factors Dept dell’Alitalia, che prepara piloti e assistenti di volo a ogni emergenza.
Con me altre 12 persone: come Gisella, che ha viaggiato in tutto il mondo ma ora ha così paura che «se non faccio qualcosa, preferisco guardarmi il Kilimangiaro sui libri», o come Alessandro, che vola tanto per lavoro ma per evitare un atterraggio col cattivo tempo ha pure guidato una Panda da Milano a Catania. O ancora Carlo il velista, che si sta preparando alla traversata dell’Atlantico in solitaria, ma è terrorizzato dal volo di ritorno.
La nostra psicologa Simonetta ci guida attraverso il cervello alla ricerca di queste nostre inspiegabili ansie. Con pazienza ci presenta tutti quei sintomi fisici che non hanno nulla a che vedere con la paura, ma con un vortice di percezioni che condizionano le nostre vite. C’è anche il comandante, Mauro, che risponde alle nostre domande morbose: «Ma scusi, e se perde tutti e due i motori sopra l’Atlantico?». Ha sempre una spiegazione pronta, ma soprattutto è la rarità degli eventi descritti che lo diverte: «Perché mi togli tutti e due i motori? E lasciamene uno, no?».
NEL POMERIGGIO CI PORTA IN UN SIMULATORE DI UN AIRBUS A320, ed ecco comparire i sintomi che provo in aereo, sudorazione e nausea, anche se so di essere ancorata a terra. Si prova un decollo da Fiumicino con turbolenza moderata: a turno prendiamo i comandi e proviamo l’ebbrezza del volo che possiamo, per una volta, quasi controllare. Questo è quello che gli americani chiamano un «A-Ha! moment», una rivelazione: quando ti rendi conto che l’aereo non è sospeso, ma si appoggia su una materia, l’aria, che ad alta velocità è come solida. È qui che quei sintomi scompaiono, almeno a me.
Il comandante, all’improvviso, toglie i motori e cominciamo a planare. Non ho paura, sono in controllo. Mauro mi guida fino alla pista 25 di Fiumicino, dove atterro (un po’ decentrata, vabbè). Gisella, che al mattino diceva che non sarebbe più riuscita a salire in aereo, è euforica come una bambina. Carlo il velista chiede al comandante: «Dai Mauro, ridecolliamo?».
La sera stessa prendo l’ultimo volo per Linate, ho la testa piena di nozioni e ancora la sensazione di essermi riappropriata di una zona buia del mio cervello. So cosa sta succedendo in cabina di pilotaggio, so che posso lasciarli lavorare, so che volare è sicuro.
Guardo fuori dal finestrino e vedo Roma allontanarsi: niente potrà togliermi la voglia di volare e vedere Roma o New York dall’alto.