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 2014  febbraio 05 Mercoledì calendario

VENTIDUE ANNI FA LE STESSE ACCUSE WOODY FINÌ DAVANTI AL GIUDICE PROSCIOLTO E “CONDANNATO”


Condannati da ventidue anni nella bolgia dell’amore che diventa odio, Woody Allen, Mia Farrow e soprattutto una bambina ora diventata donna vivono in un inferno umano e giudiziario dal quale nessuna sentenza e nessun tribunale umani sono mai riusciti e mai potranno liberarli.
È dal 1992, quando Mia Farrow lanciò contro Allen Stewart Königsberg, poi divenuto per l’anagrafe Woody Allen, le prime accuse di molestie sessuali contro la figlia di sette anni per ottenere la custodia di tutti gli allora undici bambini adottati o naturali, che nessuna inchiesta giornalistica o giudiziaria è riuscita a spezzare l’abominevole triangolo fra la diva del Grande Gatsby, il regista di Manhattan e Dylan. Anzi, quando la cronaca dello spettacolo, la gloria artistica torna a illuminare quell’irrequieto, nevrotico, geniale bambino di Brooklyn respinto da una scuola di cinematografia, la luce si riaccende sopra la più infamante delle accuse: la pedofilia contro una bambina che era diventata anche la propria figlia.
La lettera che Dylan, oggi una pallidissima giovane signora quasi trentenne, casualmente biondo-rossiccia come Mia, ha inviato al New York Times per confermare quello che la Farrow aveva denunciato nel 1992 ha riportato il calendario della più sordida, e più odiosa, storia di odio sicuro e di possibili perversioni al giorno del settembre 1993, quando un tribunale di Manhattan insinuò, con una formula giuridicamente bizzarra, che qualcosa di vero ci fosse nei sospetti di molestie sessuali sulla bambina da parte di Woody, ma che non potesse essere dimostrato. Fu una condanna attraverso un proscioglimento che oggi, nel 2014, ha dato a Dylan, e al fratellastro Ronan che la appoggia, lo spazio per tornare all’assalto. «Non posso tollerare che venga celebrato e onorato il mio tormentatore ». Non c’è nulla di nuovo, nè di inconfutabile, in quello che la donna scrive, o nelle parole di Ronan, l’unico figlio formalmente nato dal rapporto fra Mia e Woody, ma che oggi la stessa Mia, a 68 anni fuori dal mondo dello «show business» di fatto ammette di avere avuto dall’ex marito Frank Sinatra. Un’ammissione forse inevitabile, vista la somiglianza fra Ronan e “Old Blue Eyes”.
Nelle giornate angosciose e concitate del settembre 1993, quando il tribunale sancì l’affidamento dei figli a Mia, che poi ne avrebbe collezionati quindici perdendone due per morti naturali, il quadretto di questa coppia impossibile e sciagurata era già chiaro. Woody, che oggi la decana delle giornaliste tv Barbara Walters ha difeso chiamandolo «un padre inappuntabile e affettuosissimo » era stato giudicato completamente inaffidabile dalle corti. Il suo stranamore con Mia, che lui manifestava portandole il caffè con le ciambelline a casa attraversando il Central Pak dalla East Side dove lui viveva, alla West Side dove abitava lei con la nidiata, era sembrato troppo strano al giudice. Quella «affettuosità » che oggi la Walters elogia si era espressa in comportamenti che prima la Farrow e oggi Dylan descrivevano in termini, e in dettagli, da brividi d’orrore. Persino la baby sitter avrebbe poi detto di essere rimasta «esterrefatta e disgustata» dalle attenzioni fisiche, dall’intimità invadente del registra verso quella bellissima bambina bionda.
Ma Allen, già in quegli anni un gigante dell’arte cinematografica venerato nel resto del mondo e nell’ambiente dello spettacolo e della high society di Manhattan anche più di quanto lo fosse nell’America a ovest del fiume Hudson, era un uomo troppo potente, troppo intoccabile perché il tribunale osasse demolirlo con un giudizio di pedofilia che lo avrebbe reso un pariah, esattamente come aveva costretto all’esilio un altro grande del cinema, Roman Polanski, per lo stesso reato. Quel Roman Polanski che la Farrow aveva visto da vicino nella lavorazione di Rosemary’s baby e dunque dandole forse l’ispirazione per cercare di disintegrare anche l’ex amante con una simile accusa «nucleare ». Tutto può essere perdonato a divi e divintà dello spettacolo, vizi e stravizi, eccessi e bizzarrie che li possono uccidere, come hanno ucciso pochi giorni or sono Philip Seymour Hoffman. Ma non, e mai, giustamente la pedofilia.
Corsero allora, come le auto e i Suv di avvocati, parti in causa, accusatori, testimoni che rotolavano per le strade di Manhattan dai tribunali agli studi di legali ingrassati come oche di Strasburgo da parcelle che furono calcolate a oltre 10 milioni di dollari, le voci più terrificanti, sempre diffuse dal «Team Farrow». Si parlò di mafia, di Cosa Nostra, che sarebbe stata la mano protettrice di Woody. «Il suo autista quando lavora è uno dei Teamsters», dissero gli avvocati di lei, del sindacato autisti e camionisti, sempre in odore di fortissime infiltrazioni criminali. Telefonate misteriose nel cuore della notte piovevano su Mia, per “consiglierla” di «not bust his balls», di rompergli il palle, «or else», o guai a te.
Una controsceneggiatura criminale che aggiungeva alle accuse di molestie sessuali contro la piccolina bionda un’aura da Goodfellas, da Bavi Ragazzi o da Pallottole suBroadway, il film che proprio nel 1994, l’anno dopo la sentenza che lo sconfisse, Woody Allen diresse. Per raccontare la storia di un giovane sceneggiatore involontariamente invischiato con la mafia. Insinuazioni, accuse, dichiarazioni che i legali del regista allora, come oggi, attribuiscono alla fantasia eccitabile e febbrile di un’attrice che dopo aver lavorato in quaranta film conobbe un crollo precipitoso della propria fortuna. Immaginazione stimolata proprio da un lungo e intenso rapporto con quel Frank Sinatra che sarebbe stato accompagnato per tutta la vita da sospetti di associazione mafiosa, fino al rifiuto della concessione per la gestione di un casinò a Las Vegas. Eppure per dodici anni, dal 1980 fino all’inferno del 1992, Mia e Woody sarebbero stati considerati come una coppia fissa, senza mai avere figli, se anche quell’unico avuto da lei, Ronan, è realmente figlio di un segreto ritorno di fiamma per il «Vecchio Occhi Azzurri».
La verità giudiziaria — per ora l’unica, essendo stato dichiarato il non luogo a procedere per mancanza di prove contro Allen nel caso di pedofilia — s’intrecciò allora con una verità molto più banalmente umana, l’infatuazione, poi divenuta matrimonio, del grande nevrotico di Brooklyn per un’altra figlia di Mia, Soon Yi, adottata quando lei si era unita al direttore d’orchesta André Previn. Fu la scoperta di una foto di lei completamente svestita sul divano dell’appartamento di Woody Allen, fatta proprio dalla Farrow in un’incursione senza preavviso, a rendere intollerabile ciò che forse era stato tollerato, a rendere odioso colui che apparentemente lei aveva amato per 12 anni.
Nell’età delle foto, Soon Yi era ancora minorenne, anche se poi lui l’avrebbe sposata ventunenne a Venezia, indifferente ai 25 anni di differenza. E in questo calderone di lava bollente, fra amori reciprocamente traditi, giochi proibiti, fantasie infantili — come un altro giudice licenziò in passato i ricordi atroci di Dylan — sospetti ripugnanti, alimentati da quel vulcano di ambizioni, vanità, egolatrie che si agitano sotto la crosta dello «show business », gli attori continuano a consumarsi, e a bruciarsi. Mia fa l’ambasciatrice di pace per l’Onu, battendosi fino allo scipero della fame contro il regime siriano di Bashar al-Assad. Woody miete altri riconoscimenti dell’ammirazione e dell’adulazione internazionale, ormai in vista degli ottant’anni. Dylan lancia le proprie accuse terribili, senza autentiche speranze di vederle accolte, altro che in un breve, furioso falò della curiosità. E al pubblico può restare, in attesa di titoli di coda giudiziari che non verranno mai, la sensazione che nel mondo del cinema, niente è mai quello che sembra.