Paolo Berizzi, la Repubblica 5/2/2014, 5 febbraio 2014
MIO FIGLIO ERA OSSESSIONATO DAL PIANO PER FAR EVADERE IL FRATELLO VOLEVA USARE ANCHE L’ELICOTTERO
«Se anche sapessi dove si nasconde mio fratello, non ve lo direi mai. Avete ammazzato Antonino, e Domenico, poveraccio, dovrà passare tutta la vita in carcere. Da innocente». Un assalto armato per far fuggire un ergastolano è questione di punti di vista. Anche se ci sono un morto e due feriti. Anche se l’»innocente» è latitante, ancora in fuga o imboscato chissà dove. La visuale dei familiari di Domenico Cutrì sta tutta nelle parole della sorella Laura, la più piccola dei fratelli, vent’anni appena ma un’»ostilità » talmente «sprezzante» — ragiona l’investigatore — «da convincerci che di indicazioni utili, dai familiari, non ne arriveranno».
Lunedì notte. Dieci ore dopo il Far West. In una stanza al primo piano della stazione dei carabinieri di Gallarate, di fronte al comandante della Compagnia Michele Lastella, al pm Raffaella Zappatini (procura di Busto Arsizio), al comandante del Nucleo investigativo dell’Arma, Massimiliano Corsano e a un ufficiale del Ros, sfila il “cerchio” familiare di Cutrì. Un nucleo di persone «reticenti », è l’eufemismo usato. Vengono interrogati la madre del fuggitivo, Maria Antonietta Lantone, 50 anni; la sorella Laura, il suo fidanzato e la fidanzata di Daniele Cutrì. Daniele è il terzo fratello, ha 21 anni, ha partecipato anche lui all’assalto nel quale ha perso la vita Antonino e, si suppone, o è ancora assieme a Domenico, o a sua volta ha trovato un rifugio. La prima ascoltata è la madre dei Cutrì, calabresi della provincia di Reggio, trapiantati prima in Piemonte e poi a Inveruno, in un appartamento dove abita tutta la famiglia e nemmeno uno che lavora (solo lei, la madre, ha una piccola attività di pulizie).
In un interrogatorio costellato da una serie di «non so» e «non so niente», la donna risponde come può alle domande degli inquirenti. Spiega che l’evasione era l’unico spiraglio che il figlio aveva per sottrarsi a una pena «ingiusta» confermata in appello (ha fatto uccidere il giovane polacco Lukacs Kobrzeniecki nel 2006 a Trecate); un ergastolo che ossessionava anche Antonino, il fratello maggiore morto in seguito al conflitto a fuoco con gli agenti della polizia penitenziaria davanti al tribunale di Gallarate. Antonino che nel giro malavitoso si faceva “grosso” referenziandosi proprio con l’ergastolo inflitto a Domenico. «Voleva farlo evadere a tutti i costi», ha raccontato Maria Antonietta Lantone. Aggiungendo un particolare che appare improbabile. Per il suo progetto Antonio, forse ispirato da suggestioni cinematografiche, avrebbe addirittura «seguito un corso per pilotare un elicottero».
Mamma Cutrì ha poi ripercorso le fasi successive all’assalto. Quelle durante le quali — secondo la sua versione, alla quale gli inquirenti credono poco — avrebbe trasportato all’ospedale di Magenta, lei da sola, il figlio Antonino ormai in fin di vita. Ha raccontato che uno sconosciuto le ha citofonato a casa dicendo «Antonino sta molto male». E dunque la sequenza descritta è questa: lei scende in ciabatte, sale sulla Citroen C3 nera utilizzata dal commando per scappare con a bordo Domenico Cutrì. A un semaforo il tizio «sconosciuto » scende e lei prosegue arrivando in macchina in ospedale: fino al pronto soccorso dove Antonino arriva «rantolante». Una testimonianza poco convincente. La Citroen è stata ritrovata ieri mattina in un parcheggio vicino all’ospedale. Un posto diverso da quello indicato dalla madre.
Le auto. Su questo non vi sono più dubbi. Sono due quelle utilizzate dalla banda nella prima fase del piano (rubate a Bernate e a Arluno poche ore prima dell’azione). La Citroen, per la fuga dopo l’assalto. E una Nissan Qashqai, trovata subito dopo la sparatoria vicino al tribunale: era piena di armi. Tutte col colpo in canna ma non utilizzate nel conflitto a fuoco. Quattro fucili a pompa e a canne mozze, uno modificato. Niente marca e matricola abrasa. Nel bagagliaio c’erano anche due parrucche ritenute dagli investigatori «attrezzi del mestiere», da utilizzare per mettere a segno rapine. Su quale mezzo è fuggito, poi, l’ergastolano Cutrì? Gli inquirenti sono quasi certi che a Magenta, dove è stato scaricato Antonino, ad aspettare ci fosse una terza auto o un furgone. Dove potrebbe essersi diretto? E chi lo copre in queste prime 36 ore di latitanza? «Se anche lo sapessi non ve lo direi», ha risposto la sorella Laura. Per lei e per tutti i familiari Domenico è una «vittima innocente». Lui. Non l’operaio polacco ucciso otto anni fa per una battuta di troppo rivolta alla fidanzata dell’aspirante boss. Da Torino il pg Marcello Maddalena, che sostenne l’accusa nel processo in cui Cutrì fu poi condannato, avverte: «Quell’uomo è pericolosissimo».
I primi a proteggere l’ergastolano, almeno con le parole, sono i suoi parenti. E non è la prima volta. Mamma Maria Antonietta, che qui non risulta ancora indagata, è già imputata a Torino per falsa testimonianza (nel procedimento per il delitto di Trecate). I figli sono pezzi di cuore. Anche Daniele, il più piccolo dei maschi. «Domenica sera è partito per Napoli per una gita con un amico», ha riferito la madre. Il ragazzo non si trova. La caccia a Domenico Cutrì e ai suoi complici prosegue senza sosta. Estesa in tutta Italia e anche alle frontiere. Gli investigatori sono convinti che il piano dell’assalto di Gallarate sia stato preparato con cura «in famiglia». Dopo avere tentato la fuga una prima volta dal carcere di Saluzzo, il 32enne ergastolano avrebbe fatto uscire — durante i colloqui coi parenti — messaggi, informazioni e orari per l’appuntamento di lunedì alle 15. Mettendo in conto che ci sarebbe potuto scappare il morto. Sono decine i colpi (calibro 7,65 e 9x21) sparati dai banditi per liberare l’amico; altrettanti quelli esplosi dagli agenti. Poi la fuga del commando. Cutrì diventa un fantasma.