Ugo Bertone, Libero 5/2/2014, 5 febbraio 2014
L’ASSE CON I PAESI DEL GOLFO ROVINA I PIANI DELLA MERKEL
Intendiamoci: dal punto di vista del Kia, il fondo sovrano del Kuwait fondato nel 1953 dallo sceicco Abdullah al Salem al Saba per reinvestire le risorse del petrolio, l’investimento di 500 milioni di euro in società con il Fondo Strategico Italiano non è grande cosa: poco più del 2% dell’immenso portafoglio di partecipazioni che vale quasi 300 miliardi di dollari. Ma dal punto di vista politico e delle prospettive di business l’operazione promette grossi sviluppi. Il Kia, infatti, non si è limitato ad annunciare la volontà di far shopping nel Bel Paese in cui del resto già possiede beni per quasi tre miliardi (tra cui, ovviamente, spicca la rete dei distributori di benzina), ma si è associato, per giunta in posizione di minoranza, a un partner pubblico di casa nostra. Una scelta strategica, insomma, ben meditata con un orizzonte di lungo respiro. E presa con cognizione di causa, visto che i vicini e rivali del fondo del Qatar (assai più aggressivo dei cugini del Kuwait, per tradizione tra i fondi sovrani più prudenti) sono da anni soci della controllata di Cdp con cui hanno invano tentato lo sbarco in Versace.
Non è meno impegnativa la mossa di Etihad, controllata dallo sceicco di Abu Dhabi. L’ingresso della compagnia in Alitalia rompe equilibri controllati e scompagina i disegni di Lufthansa, che già pregustava di volare sulle rovine del l’Italia che vola. Insomma, al di là del business, l’asse tra l’Italia ed il Golfo nasce da premesse politiche ambiziose. Ma non velleitarie, perché i nostri partner sono di prim’ordine: Etihad è la compagnia aerea che cresce più rapidamente e vanta i migliori voti per il servizio; il Kia, dopo aver fatto incetta di banche (è partner di Citigroup, Merrill Lynch e della più importante banca cinese) si è orientato verso le infrastrutture reclutando i migliori esperti del settore ed alleandosi con il gigante BlackRock.
Per carità, non siamo i soli a corteggiare gli sceicchi. I tedeschi, che insorgono contro gli aiuti di Stato per Alitalia, hanno spalancato le porte agli sceicchi di Abu Dhabi, primo azionista in Daimler, e a quelli del Qatar, soci al 17% in Volkswagen. Il Kuwait vanta investimenti a Berlino e dintorni per 15 miliardi di euro, cinque volte tanto i 2,7 miliardi finora investiti dal Kia in Italia, prima dell’operazione annunciata ieri.
Al di là delle cifre, però, l’occasione è davvero ghiotta. Non è un mistero che la recessione italiana, senz’altro inasprita dalle decisioni Ue all’insegna dell’austerità, non è tanto una crisi dell’offerta da curare con un taglio delle spese e contemporaneo aumento delle tasse, bensì, come ha insegnato John Maynard Keynes, una crisi della domanda che richiede una sola terapia: la crescita degli investimenti. Ma per investire, e creare così le condizioni per la ripresa del tessuto manifatturiero, ci vogliono capitali. Ovvero quella materia prima che l’Europa modello tedesco ha finora rifiutato, sancendo in via ufficiale, al momento della formazione del nuovo governo Merkel, il no definitivo agli eurobond. In assenza del «bazooka europeo» e nel rispetto scolaresco delle direttive impartite dall’ineffabile Olli Rehn, non ci restano molte strade da battere. Insomma, delle due l’una: o assistiamo inerti allo sfacelo dell’economia di casa nostra o ci rivolgiamo a partner internazionali.
Che non sono tutti eguali: Deutsche Bank, che nel 2011 diede il via alla fuga dei capitali da Btp e Borsa italiana accelerando lo sfacelo dello spread va trattata con rispetto ma tanta cautela. Altri, vedi Electrolux, vanno recuperati garantendo loro condizioni operative (cuneo fiscale, efficienza burocratica, giustizia) degne di un grande Paese. E gli amici del Golfo? Guai a sprecare l’occasione. Per fortuna la Cdp sembra in grado sia di elaborare un vero piano strategico sia di intermediare, anche con veicoli societari ad hoc, l’ingresso di soci forti valorizzando un ruolo italiano in imprese da far crescere sia per dimensioni che per espansione internazionale. Perciò, una volta tanto, è lecito sperare: una, dieci, cento imprese in grado di far concorrenza alla Baviera come il Nord Est di fine ’900, prima dell’arrivo dell’euro. Grazie al socio del Golfo o ai tanti investitori di lungo periodo, americani, australiani, canadesi ma anche la «State Grid of China» (che produce, trasporta e distribuisce l’energia elettrica a 1 miliardo di cinesi), interessati a una quota in Cdp Reti.