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 2014  febbraio 05 Mercoledì calendario

ASCESA DI DARIA: DAL GRANDE FRATELLO AI PADRI FASCISTI


Quel giorno di settembre, ormai 14 anni fa, la televisione commerciale ci spiegò che il confessionale non era un rifugio intimistico e spirituale. E da quel giorno di settembre, decine di milioni di italiani ipnotizzati dal Grande Fratello di Canale 5, appresero il tratto nazional popolare di Daria Bignardi di Ferrara che, rigida e forse un po’ timida, elegante e forse un po’ professorale, non voleva essere né sembrare nazional popolare. Perché la giornalista di sinistra che vestiva di nero negli anni Ottanta e recitava il mantra “meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente”, che aveva esordito con Gad Lerner, Gianni Riotta e Giordano Bruno Guerri, maestri diversi e distanti, preferisce il confessionale, più informale, più marginale. Ha sempre funzionato nei colloqui a stile libero, fra il cazzeggio e la riflessione, fra la filosofia e le puzzette (vero, ne disaminò con Dolce&Gabbana).
HA SEMPRE custodito un paio di liste: quelli che da Daria Bignardi non ci vogliono andare e quelli che Daria Bignardi non vuole ospitare. Ha sempre oscillato fra la cronaca, la cultura e il gossip: Milano, Italia (Rai) e Corto Circuito (Mediaset). Il modello perfetto, a misura , scucito per un pessimo ritorno in Rai, si chiama Le Invasioni Barbariche. E il modello rivisitato col tempo, moltiplicate le collaborazioni (scrive su settimanali e pubblica libri con Mondadori), s’è alleggerito e poi s’è confuso con se stessa. E s’è ripetuto, più volte: il cagnolino per l’imperturbabile Mario Monti (poi pentito con rabbia), il computerino per l’interattivo Matteo Renzi e la birretta in amicizia con la cantante Giorgia. Al mago Silvan, emozionata, la Bignardi ha chiesto un giochetto di prestigio con le carte. La scenetta, ormai tradizionale, fa sciogliere la tensione (e spesso pure gli ascolti). Le Invasioni Barbariche hanno regalato il primo Tele-gatto a La7, adesso non trascinano più: sussistono, benino. Il Movimento Cinque Stelle non ha perdonato a Bignardi la domanda al deputato Alessandro Di Battista, che doveva rispondere di una passione fascista del padre. Il quesito: “Cosa si prova?”. I supplementari di trasmissione, un po’ ontologici e un po’ giornalistici, sono finiti ai rigori con una lettera aperta di Rocco Casalino, ora responsabile comunicazione per i Cinque Stelle, 14 anni fa, concorrente al Grande Fratello per tre mesi.
CASALINO ha rovesciato il punto interrogativo. Era per la Bignardi: “Cosa si prova?”. E ha ricordato il matrimonio con Luca Sofri, figlio di Adriano, condannato a 22 anni perché mandante dell’omicidio di Luigi Calabresi. Aspettando un televoto per dirimere la questione, va segnalato che la Bignardi affronta il tema in un’autobiografia (Non vi lascerò orfani) di ottimo successo, pubblicata cinque anni fa, pregna di memorie e affetto per la madre appena scomparsa. In un appassionato paragrafo di un racconto personale con il passo di un romanzo, Bignardi ricorda il babbo ex fascista convinto che, come gran parte dei ragazzi di quella maledetta generazione, aveva conosciuto la guerra e subìto le illusioni di Mussolini. La carriera di Daria Bignardi è spesso circolare, episodi e protagonisti che si rincorrono. Chi non ha visto e rivisto la litigata con Barbara D’Urso? E fu proprio la D’Urso a prendere quel posto al Grande Fratello, che per l’esordio, attesissimo, la Bignardi aveva conteso e strappato a Catherine Spaak, Elisabetta Gardini, Cristina Parodi e Cesara Buonamici.
QUANDO RIENTRÒ in seconda serata su Rai2, stesso modello, nuova etichetta (L’Era Glaciale, 2009), Bignardi fu “costretta” a censurare un pezzo di intervista al vignettista Vauro e Beatrice Borromeo perché toccava l’allora premier Silvio Berlusconi. Disse: “Non mi piace mai se un programma viene tagliato. E non mi è piaciuto che il programma sia stato tagliato, ma è una decisione dell’editore e io non posso che prenderne atto, visto che siamo in par condicio e il mio programma sottostà alle norme della par condicio”. Oltre la par condicio, ci fu un concitato intervento di Antonio Marano, direttore di rete. Ironia delle regole, la Bignardi, qualche mese dopo, lasciò la Rai per una polemica simile. La messa in onda dell’ultima puntata fu posticipata – ci infilarono un classico di Paperino – perché Morgan parlava di loggia P2 e Cavaliere. Malvolentieri, rincasò a La7. E addio ai 600.000 euro di viale Mazzini e al pubblico (in teoria) più numeroso. Ma senza dimenticare il battibecco con Renato Brunetta. La giornalista storpiò il nome di Giacomo Brodolini in Brandolini: “Non sono cose che contano”. E Brunetta reagì da Brunetta: “Ha detto una bestemmia. Brodolini è il padre dello Statuto dei lavoratori, morto di cancro mentre faceva approvare una legge fondamentale”. Bignardi offesa: “Lei è antipatico”. Per giustificarsi, disse: “Se fossi stata Enrico Mentana, nessuno si sarebbe stupito”. Ritrovò Mentana a La7. Ebbe pure la sventura di benedire la scelta di Alessio Vinci a Matrix, che rimpiazzò l’ex direttore. A Claudio Sabelli Fioretti, Daria Bignardi ha consegnato le tavole per un’intervista corretta: “Non va fatta con l’idea che hai. Ti devi far coinvolgere”. Non poco. Non troppo.