Andrea Laffranchi, Corriere della Sera 5/2/2014, 5 febbraio 2014
«RISCHIAI DI CONDURRE SANREMO ORA MI DIVERTO COME OSPITE»
E dire che aveva pensato di smettere. In pochi mesi Claudio Baglioni ha pubblicato «ConVoi», primo album di inediti a dieci anni dall’ultimo, fatto una serie di show solo voce e pianoforte, il 27 febbraio debutterà a Rieti col nuovo tour e sarà anche ospite a Sanremo. «Visto che il Festival non me lo fanno presentare — ride —, ci vado come ospite»
Il messaggio a Giancarlo Leone, direttore di Rai1, è lanciato... Se la chiamassero per il 2015?
«Credo che ci siano molti pretendenti...».
Baglioni e Sanremo?
«Non è la prima volta. Ci andai nell’85. Quell’anno “Fantastico”, condotto da Baudo, aveva un concorso sulla canzone del secolo. Vinse “Questo piccolo grande amore”. Fu un onore pazzesco. Ricordo che il giorno della proclamazione, il 6 gennaio, portai a spasso i cani in una Roma sotto la neve. Ridevo dicendo loro: “il vostro padrone è l’autore del secolo”. Baudo mi invitò a Sanremo per celebrare».
Come andò all’Ariston?
«Feci “Questo piccolo grande amore” voce e pianoforte. Erano anni in cui il Festival era tutto in playback. Di lì a un paio d’anni i cantanti tornarono a cantare e l’orchestra a suonare. Forse ho cambiato qualcosa di quei meccanismi».
Mai andato in gara, però...
«La mia è stata una carriera diversa. Sono stato però a un passo dalla conduzione...».
Quando?
«Dopo “Anima mia”, nel ‘98 proposero a me e Fazio di farlo. La discografia si oppose all’idea di un cantante come presentatore e non se ne fece nulla. Fabio lo fece poi più avanti. Altri tempi rispetto a quando hanno chiamato Morandi».
Suonerà o farà coppia col suo vecchio amico Fazio?
«Ci sarò una sola serata. E ho pensato a due interventi: uno antologico e uno più odierno, con arrangiamenti particolari. Poi con Fazio non si sa mai... A me piacerebbe fare quello che fece un grande del jazz come Lionel Hampton nel ‘68: suonò i ritornelli di tutti i brani col vibrafono, una specie di riassunto della competizione».
Baglioni spettatore del Festival. Lo guardava?
«Certo. Tanta musica che ha avuto una vita lunga è passata da lì, non solo le canzoni “sanremesi”. Ricordo “La voce del silenzio” cantata da Dionne Warwick (e Tony Del Monaco ndr), “Che sarà” con José Feliciano (e i Ricchi e Poveri ndr). E poi “Ciao amore ciao” di Tenco: stavo a casa con i miei genitori e facevamo le votazioni con i fogliettini, eravamo pionieri delle giurie dei talent show».
Ricordi a colori?
«Col passare degli anni è diventato qualcosa per gli occhi più che per le orecchie. E allora ci sono il pancione di Loredana Bertè, Peter Gabriel che si lancia sulle prime file con una liana per “Shock the Monkey”...».
Cosa sta preparando per le oltre 30 date de tour di «Con Voi»?
«Sarò con 13 polistrumentisti. Suoneremo tutto live, senza sequenze. Stiamo provando e le prove sono un’esperienza di vita, un bilancio di un percorso che raccoglie quello di memorabile che uno pensa di aver fatto e qualcosa di contemporaneo».
E lei che ha fatto?
«Ho la sensazione di aver fatto tanto. Forse troppo o abbastanza... Insomma, ho scritto 350 brani. Per un concerto, anche se i miei arrivano a tre ore mettendo a dura prova la resistenza del pubblico, devo scegliere».
Come costruisce una scaletta?
«Due linee guida. I titoli inamovibili che sono come i senatori a vita e gli altri che si scelgono seguendo le vie della musica e del cuore, con qualche sgambetto, la rivincita dell’autore che recupera pezzi meno noti dal repertorio. La speranza è che dopo lo show, al ristorante, nessuno ti incontri e dica: “Non mi hai fatto quella tal canzone!”. Siamo in un momento particolare della storia del Paese, siamo in mezzo al guado: legati al passato e col futuro che è un bozzetto. L’idea della scenografia viene da lì: un cantiere».
E come sta il cantiere Italia?
«Il cantiere è qualcosa che costruisce o qualcosa che è rimasto abbandonato. Siamo un Paese gravemente ammalato e siamo in un momento critico. Si parla ancora di mali endemici, mafia, corruzione, i favori all’italiana, astuzia, arroganza...».
E Lampedusa... Lei è impegnato con O’ Scia’ per portare attenzione sui clandestini. La tragedia dei mesi scorsi ha mosso qualcosa?
«Nulla. È da un quarto di secolo che la classe dirigente non ha un atteggiamento volto a risolvere. Temo che finiremo per conviverci come si fa con la fame nel mondo e le guerre. La questione è più grave della sola Lampedusa: quello è soltanto il 10 per cento dei flussi di trasmigrazione».