Sergio Rizzo, Corriere della Sera 5/2/2014, 5 febbraio 2014
LA CORSA DELLA BOLLETTA ELETTRICA DAL ‘99 È PIÙ SALATA DEL 42 PER CENTO
ROMA – Quattro euro in un anno sono poco più di un centesimo al giorno. Diciamo la verità: chi ci fa caso? Ma è pur sempre una sorpresina che non ti aspetti, se il prezzo del petrolio è fermo e quello del gas è in discesa. L’autorità dell’Energia ha spiegato che se da gennaio la bolletta elettrica aumenta dello 0,7% è perché bisogna finanziare le agevolazioni per le imprese energivore concesse dal governo Monti. Magari ci sta pure, con l’aria che tira per certi settori industriali, tipo alluminio.
Resta il fatto che oggi una famiglia tipo si trova a pagare bollette più care di circa il 90% rispetto al 1999, quando è partita la liberalizzazione. Il costo medio è di 191,8 euro al megawattora, a fronte dei 101,2 euro di 15 anni fa. In termini reali, tenendo cioè conto dell’inflazione, l’aumento si aggira intorno al 42%.
La ragione? L’Italia dipende ancora molto dai combustibili fossili e nel periodo preso in esame il prezzo reale del petrolio brent è salito di ben il 242%. Ma sappiamo che il peso del greggio è progressivamente sceso, a vantaggio delle energie rinnovabili. La materia prima, poi, pur avendo subito un rincaro reale del 52 per cento, rappresenta poco più di metà della tariffa. È’ il 51,3 per cento. Il resto è assorbito per il 14,7 per cento dai costi di trasmissione e distribuzione: ed è solo qui che si possono apprezzare gli effetti della liberalizzazione, considerando che dal 1999 a oggi questi hanno registrato un calo effettivo del 32 per cento. Peccato che ogni beneficio sia stato azzerato dall’abnorme crescita della voce “tasse e oneri di sistema”. Erano il 21,6 per cento della bolletta nel 1999, sono schizzati al 34 per cento oggi: se quindici anni fa valevano 21,9 euro, oggi pesano per 65,3 euro. L’aumento monetario è stato del 199 per cento, quello reale del 123 per cento. Tutto ciò principalmente per effetto degli incentivi astronomici alle energie rinnovabili: siamo a 13 miliardi di euro l’anno. Nessun Paese garantisce contributi così elevati a chi produce con le pale eoliche o il fotovoltaico, se si pensa che il costo dell’energia solare in bolletta è arrivato a superare di sette volte quello del petrolio.
Ma non c’è solo questo negli oneri di sistema. Sopravvivono, per esempio, gli anacronistici sconti al sistema ferroviario in vigore da mezzo secolo: qualche centinaio di milioni. E c’è anche il costo delle sovrastrutture create per accompagnare la liberalizzazione. Parliamo di quelle società pubbliche spuntate come i funghi e che rendono l’Italia un caso unico fra tutti i Paesi che hanno aperto il mercato elettrico. Sono la bellezza di sei. Quattro fanno capo al Gse, o Gestore dei servizi energetici: società che ha principalmente la funzione di erogare gli incentivi alle energie rinnovabili, fare i controlli relativi e certificare i risparmi. Da notare che nel settore elettrico un ufficiale pagatore con compiti del tutto simili già esiste: è la Cassa conguaglio un ente pubblico vigilato dall’authority e dal governo. Dal 2006 al 2012 il personale del gruppo Gse è passato da 364 a 1.186 dipendenti, con costi saliti da 26,8 a 78,2 milioni. Cifra alla quale sarebbe corretto sommare le consulenze. Sestuplicate: da 2,3 a 13,2 milioni. Il Gse controlla tre società. La prima è una società di ricerca. Si chiama Rse, ovvero Ricerca sul sistema energetico. La seconda è il Gme, sigla che sta per Gestore del mercato elettrico. Si tratta della famosa borsa elettrica, cioè il cuore della liberalizzazione. La terza ha un nome curioso: Acquirente unico. Questa società ha il compito di acquistare l’energia in borsa per conto di quei clienti che non hanno voglia di cimentarsi con le complicazioni del mercato libero, ma non per questo devono rinunciare ai suoi vantaggi.
L’Acquirente unico, in sostanza, è una specie di broker per le famiglie pigre, o che semplicemente non hanno particolari esigenze di consumo: deve comprare ai costi migliori e rivendere al prezzo più vantaggioso. Sul risultato, però, non tutti gli esperti sono disposti a metterci la mano sul fuoco. C’è chi ha calcolato che se tutte le famiglie rifornite dall’Acquirente unico negli ultimi quattro anni avessero comprato direttamente l’energia elettrica in borsa avrebbero risparmiato fra 1,5 e 2 miliardi di euro.
La curiosa liberalizzazione all’italiana ci ha poi proposto la Sogin: società che ha il compito di curare, ancora a 27 anni di distanza dalla fine della nostra era atomica, lo smantellamento delle vecchie centrali nucleari e lo smaltimento delle scorie. Sorvoliamo su alcune perle che in passato le hanno fatto guadagnare gli onori delle cronache, come quella sede non esattamente frugale aperta a Mosca quando noi italiani, con l’uranio delle nostre centrali ancora da sistemare, avremmo dovuto occuparci di smontare i sommergibili atomici dell’Armata rossa. O come le assunzioni di parenti e amici. Vecchie storie.
Certo però la cura dimagrante che a un certo punto era sembrata imprescindibile non si può dire abbia dato i frutti sperati. I dipendenti della Sogin e della sua controllata Nucleco, scesi alla fine del 2008 al numero comunque non trascurabile di 816, nel dicembre 2012 erano risaliti a 967. Ottanta assunti solo nell’ultimo anno di cui esistono dati ufficiali. D’obbligo ricordare che nel 2011 l’azienda aveva speso 2,9 milioni per incentivare gli esodi del personale.