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 2014  febbraio 05 Mercoledì calendario

LA SCUOLA CHE RIFIUTA DI USARE I TABLET


Hanno avuto paura che quei tablet si trasformassero in «armi di distrazione di massa». Che le novità digitali potessero avere «conseguenze negative su attenzione e memoria, sui processi emotivi e la socializzazione». Così, alla proposta di trasformarsi in «Cl@sse 2.0» — tutta tablet e tecnologia — la IB dell’elementare Iqbal Masih di Roma ha detto no. «No» per le modalità («una decisione comunicata a inizio anno, senza che i genitori venissero consultati», spiega Mauro Giordani, un papà che guida il gruppo di «dissidenti» tecnologici). Ma no, soprattutto, «per un progetto i cui effetti non sono noti né a noi, né alle insegnanti, né al ministero proponente». Troppa didattica digitale, sostituzione dei libri di testo con i tablet, sono convinti i genitori, può essere dannosa.
Per approfondire l’argomento, hanno organizzato un dibattito aperto, mettendo a confronto tecnoentusiasti e dubbiosi. Protagonista dell’incontro, il filosofo Roberto Casati, autore del libro «Contro il colonialismo digitale», che ha appoggiato le tesi dei genitori della classe romana, illustrando e motivando il proprio pensiero con la necessità di «esercitare un sano principio di precauzione». «Non è ancora chiaro — ha sostenuto — il contributo pedagogico che le nuove tecnologie possono dare». Ha citato ricerche di Marco Gui, dell’Università di Milano Bicocca, basate su un’analisi dei risultati Ocse-Pisa 2009: le tecnologia a scuola sono vantaggiose a piccole dosi, ma diventano controproducenti con l’aumentare del tempo dedicato. «Sono molto distraenti e abbassano la soglia dell’attenzione», spiega Casati. Che non vuole essere definito un «luddista» («sono stato tra i primi a usare un tablet», ci tiene a dire), ma è «contro la logica di sostituzione che oggi sembra prevalere».
«Nessuna “abbuffata” digitale», sostiene invece la preside, Stefania Pasqualoni, spiegando che il progetto prevedeva che solo tre delle 40 ore settimanali fossero dedicate all’uso delle tecnologie.
Dopo i genitori dell’elementare romana è stato Bernardo Vertecchi, ordinario di Pedagogia all’Università Roma Tre, a gettare ombre sui possibili rischi di un uso precoce della tecnologia. Perdere la capacità di scrittura manuale, utilizzare solo o prevalentemente la tastiera — sostiene — può avere risvolti negativi sulla qualità del pensiero». E per sperimentare i benefici di un esercizio costante della scrittura a mano, ha coinvolto 350 bambini di due elementari della capitale nel progetto Nulla dies sine linea (neanche un giorno senza tracciare una linea). Mentre lo psicologo tedesco Manfred Spitzer, autore di «Demenza digitale» (Il Corbaccio) sostiene che l’uso della tecnologia abbia effetti negativi sull’ippocampo, portando alla perdita della memoria, alla riduzione delle capacità spazio-temporali e, alla lunga, a maggiori probabilità di sviluppare l’Alzheimer.
Ma insieme agli «apocalittici», crescono anche gli «integrati»: scuole all’avanguardia, come il liceo Lussana di Bergamo o l’istituto Frejus di Bardonecchia, felici esempi di sperimentazioni «Total tablet». Diventa così sempre meno chiaro se il nostro Paese creda o meno alla possibilità che i ragazzi possano studiare efficacemente attraverso un tablet, uno smartphone o un pc.
Sul fronte delle dotazioni, l’ennesima tecno bocciatura è arrivata dall’Eurispes, che nel rapporto «Italia 2013» tira le somme: per introdurre tecnologie digitali nelle classi della Penisola sono stati spesi 30 milioni di euro, 5 euro a studente. Di questo passo, ci vorranno quindici anni per metterci alla pari con Paesi come la Gran Bretagna, che ha l’80% di classi dotate di strumenti didattici informatici. I ricercatori hanno anche fatto l’inventario: 70mila le lavagne interattive (le Lim) a disposizione degli studenti in 1.200 classi (la domanda è dieci volte superiore), 416 le «Cl@ssi 2.0» sul territorio. Una penuria di dotazioni già sottolineata in precedenza dall’Ocse: alle elementari, sei computer ogni 100 scolari, contro una media europea di 16. E appena il 6% di Scuole 2.0, a fronte di una media Ue del 37%, al di sotto anche di Spagna e Portogallo.
Mentre nella Penisola si investono solo 15 milioni di euro per la connettività, intanto, il Regno Unito impiega 40 milioni di sterline per dotare tutti gli istituti di banda larga; e la scuola americana corre e sogna in grande: wi fi e banda larga in tutte le scuole entro 5 anni, ha assicurato Barack Obama. Forte dell’appoggio delle grandi aziende del settore, da Apple a At&T, da Microsoft a Verizon, che daranno il loro contributo a un progetto di 750 milioni di dollari.