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 2014  febbraio 05 Mercoledì calendario

APPELLO CHOC DELLA MADRE ALL’EVASO «RISPETTA TUO FRATELLO E SCAPPA»


MILANO — Nel soggiorno ci sono un pianoforte, un enorme specchio, un televisore al plasma ancor più grande e un divano a elle sopra cui la signora Antonella, malata di diabete, sta un po’ seduta e po’ semisdraiata, il giaccone tirato fino al collo, le ciabatte ai piedi e i piedi nelle calze di lana, il posacenere in una mano e le sigarette Multifilter rosse nell’altra, il cagnolino accucciato sul pavimento di cotto. In cucina un camino non acceso di recente, le tapparelle blu abbassate, quadri di paesaggi, un monitor che rimanda le immagini della telecamera di sicurezza sul balcone. Nel corridoio Mario Cutrì, magro, scavato, in piedi dinanzi alla porta d’ingresso blindata, aspetta parenti e amici per le condoglianze. Una processione. Sono la madre e il padre. «Mimmo ascoltami: non ti costituire. Tuo fratello si è sacrificato per te. Non ti consegnare, Mimmo. Scappa, scappa Mimmo. Altrimenti Nino è morto per niente».
I Cutrì d’Inveruno, Ovest Milanese, avevano quattro figli ed è rimasta soltanto Laura, che sbuca a mezzogiorno dalla camera da letto, impaurita. Dei tre maschi, Domenico è in fuga, Nino è all’obitorio e Daniele è in giro, «forse tra poco arriva, forse sta da amici» dice Mario Cutrì appena salito con un aereo dalla Calabria, «ero andato a salutare un famigliare ricoverato per problemi di cuore». Mario mai abbassa lo sguardo, sono occhi infiammati di rabbia che alla fine, allo scadere, si bagnano leggermente nel ricordare come «nemmeno mi fanno vedere il cadavere di Nino, gli hanno piantato un proiettile alle spalle, a tradimento, ne sono sicuro». Alla parete c’è una foto di Domenico. Ecco, Domenico. Gli studi abbandonati all’istituto alberghiero, le giovanili nelle società calcistiche succursali del Milan fino alla rottura della gamba, la condanna all’ergastolo, ed è una sentenza secondo i Cutrì origine di tutto il male. «L’hanno accusato d’essere il mandante dell’omicidio di un tizio che faceva apprezzamenti a una sua amica. Ora, chi ha sparato è fuori, libero, e comunque l’obiettivo non era uccidere ma inviare un avvertimento. Ho chiesto al giudice se avesse figli... L’ergastolo è uguale alla sedia elettrica. Ventidue, ventisei anni di galera li accetti. Hai la prospettiva che uscirai, e combatti, come contro una malattia grave che forse si può curare».
L’evasione era un’ossessione di Nino, «pazzo di suo fratello», addirittura «aveva frequentato un corso da elicotterista» fantasticando su liberazioni da leggenda, e d’altronde «sono nati a tredici mesi di distanza, erano gemelli». Con i genitori, giurano, mai un accenno a folli progetti di fuga. E però, ricorda il padre, c’è quell’intercettazione nel carcere di Saluzzo. Nino va a trovare Mimmo. Bisbigliano. Mimmo, non raggiunto dalla sentenza di fine pena mai, si raccomanda: se mi danno l’ergastolo rischi dieci anni di prigione e non se ne fa nulla; in caso contrario potrebbero rifilarti tre anni e si può progettare qualcosa insieme. Signora, quanto pensa possa resistere Domenico? La mamma Antonella non fa terminare la domanda: «L’ho detto ai carabinieri. Io non ne ho idea».
Solitamente le case di ‘ndrangheta all’esterno non tradiscono e all’interno sorprendono, catapecchie gonfie di lusso pacchiano. I Cutrì abitano nell’unico condominio d’una strada tranquilla, via Leopardi, con villette a due piani. Abitano al piano terra, i Cutrì, appartamento senza eccessi, tolto il televisore al plasma. Molto al riguardo s’è dibattuto e qualcuno insiste: sono una famiglia di ‘ndrangheta? Padre e figli hanno tanti precedenti, ci sono state storiacce di armi e di droga; ma i clan della Calabria non avrebbero rapporti con i Cutrì di Inveruno. Zero. Non sarebbero boss Mario, Domenico e Nino Cutrì. Certo il capofamiglia conferma gli episodi di violenza attribuiti a questo e quel figlio, le spacconate, le vendette. «Ma Mimmo, prima dell’ergastolo, era un incensurato. E lavorava. Aveva un’agenzia di scommesse. Mentre in prigione s’è messo a studiare. Ragioneria. Ha trovato delle risorse per sperare in un futuro, ha carattere. C’è ancora il giudizio della Cassazione. Ci siamo affidati a un avvocato, di Palmi. Gran signore... Mimmo era all’oscuro dell’evasione. Nino ha agito di testa sua... Contro le guardie ha spruzzato dello spray. Non ha fatto fuoco. Loro l’hanno colpito». Cutrì allunga il braccio lungo il fianco, forma una pistola con tre dita della mano, lascia immobile braccio e mano: «Nino non ha sparato. Avesse voluto li avrebbe ammazzati tutti quanti. Vero Antonella?». E intanto la madre scuote la testa, è stata l’ultima della famiglia a vederlo vivo quando già moriva. «Mi citofonano. “Cutrì? Se sei la mamma di Domenico esci”. C’era uno sconosciuto. E Nino in macchina. “Andiamo in ospedale” dice quello. Sono stata zitta. Mi sono messa alla guida. Nino aveva gli occhi rovesciati. Dopo poco ho smesso di guardarlo. Fissavo la strada. All’ospedale ho telefonato a mio marito».