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 2014  febbraio 05 Mercoledì calendario

UCRAINA, LA UE PREPARA IL SUO ASSEGNO

DAL NOSTRO INVIATO KIEV —

La seduta del Parlamento comincia con alcuni deputati dell’opposizione che gridano verso i banchi del governo: «Assassini, assassini». Non è un inizio rassicurante: questa potrebbe essere una giornata di svolta per la crisi ucraina. Ma a sera, quando i manifestanti di piazza Maidan, l’anima di Kiev, fanno brillare i fuochi d’artificio, il barometro politico segna ancora una situazione di stallo.
I segnali più promettenti, invece, arrivano dall’Europa. L’alto rappresentante per la politica estera e la sicurezza Ue, Catherine Ashton, è attesa oggi da un giro di incontri a Kiev. Non correranno solo parole (e questa in un certo senso è già una notizia). Ashton metterà sul tavolo del presidente assediato Victor Yanukovich un pacchetto di aiuti economici, pronta cassa. L’Ucraina ne ha un bisogno essenziale. Secondo le stime degli esperti più ottimisti lo Stato non sarà in grado di pagare gli stipendi pubblici e le pensioni a partire da giugno. I più cupi, invece, indicano marzo come il mese della bancarotta pubblica.
Ashton si sta muovendo in stretto coordinamento con il segretario di Stato americano John Kerry. E anche questa è una novità di rilievo. A quanto ammonterà l’assegno firmato Ue-Usa? Sicuramente, raccontano negli ambienti diplomatici europei, non potrà essere inferiore all’offerta già operativa della Russia: sottoscrizione di bond ucraini per 3 miliardi, con l’impegno ad arrivare a 15.
Le amministrazioni di Bruxelles e di Washington non coinvolgeranno il Fondo monetario internazionale. Poche settimane fa il direttore dell’istituto, Christine Lagarde, aveva subordinato la concessione di un prestito per 15 miliardi di dollari a condizioni considerate inaccettabili da Yanukovich. Tra i requisiti: cancellazione dei sussidi alla popolazione per l’acquisto di gas, in un Paese in cui lo stipendio medio viaggia sui 300 dollari. Cioè lo stretto necessario per la spesa e l’affitto.
Oltre ai soldi serve un tavolo reale di mediazione. La seduta della Verkhovna Rada (il Parlamento) si è risolta in un’inutile passarella dei diversi leader, con un guazzabuglio di dichiarazioni contraddittorie. Il capogruppo del partito delle Regioni Oleksandr Yefremov prima dichiara che Yanukovich «non farà uso della forza» per sgomberare piazza Maidan, giunta al giorno 74 di occupazione. Ma subito dopo annuncia che non c’è motivo per rivedere la legge sull’amnistia approvata il 29 gennaio, respingendo una delle principali richieste dell’opposizione. E così via: alle nove di mattina Yanukovic sembra pronto a indire le elezioni presidenziali anticipate. Alle 10 il suo portavoce dice che è stato un equivoco.
Sul versante opposto l’ex pugile Vitalij Klistscho prova a guadagnare spazio e a porsi come l’interlocutore privilegiato dei Paesi occidentali. Ma anche lui oscilla, perché la sua vera forza è in piazza Maidan. Sempre più radicale, invece, la posizione di Oleg Tyagnybok, il leader di Svoboda. I suoi deputati ieri hanno accompagnato i discorsi degli avversari sbattendo sullo scranno le cartelline parlamentari. In questo quadro anche l’Europarlamento prende l’iniziativa. Oggi la Camera di Strasburgo dovrebbe votare per autorizzare l’invio a Kiev di una delegazione permanente. L’ultima era guidata dal tedesco Elmar Brok, ma si è fermata solo qualche giorno, dal 28 al 30 gennaio. Gli europarlamentari, però, hanno dimostrato grande facilità di dialogo con tutte le parti in causa, da Maidan a Yanukovich. E oggi non sono molti quelli in condizione di fare questo prezioso lavoro di cucitura.