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 2014  febbraio 05 Mercoledì calendario

ARRIVA IN EUROPA IL PRIMO GREGGIO NORDAMERICANO


Il greggio nordamericano ha cominciato – o sta per cominciare – a sbarcare in Europa. In Italia e in Gran Bretagna, per la precisione. Per la prima volta da molti anni, gli Stati Uniti hanno infatti concesso alcune licenze per esportare nel Vecchio continente. O meglio, per ri-esportarvi greggio prodotto altrove, come ha precisato il dipartimento per il Commercio, forse per smorzare l’effetto della notizia diffusa qualche ora prima dalla Reuters, che rischiava di infiammare ulteriormente il dibattito sull’opportunità di abrogare il divieto di esportare greggio Usa, in vigore dagli anni ’70.
Avvalendosi del Freedom of Information Act, l’agenzia di stampa era riuscita a strappare al Bureau of Industry and Security (Bis) – l’ente incaricato di vagliare le richieste di esportazione – l’indicazione che tra le 120 licenze concesse nel 2013, quasi tutte per vendite in Canada, ce n’erano anche quattro per Paesi europei, di cui due per il nostro. Ci sarebbe inoltre una quinta domanda in corso di valuazione, per esportare in Germania.
Le autorizzazioni sono per quantità di petrolio tutt’altro che irrilevanti: in Italia le vendite potranno raggiungere un valore fino a 3,12 miliardi di dollari, equivalenti a 32,8 milioni di barili di greggio assumendo un prezzo pari all’attuale quotazione del Wti, ossia intorno a 85 dollari al barile. I britannici potranno comprare per un valore massimo di 1,8 miliardi, i tedeschi – se otterranno via libera – fino a 2,6 miliardi.
Il Bureau si è limitato a svelare lo stretto indispensabile. Non è dato, quindi, sapere quali società abbiano ottenuto le licenze per l’export, né in base a quali valutazioni. Solo con parecchio ritardo rispetto alla diffusione della notizia, infine, è arrivata la precisazione che non si tratta di greggio «made in Usa» – teoricamente esportabile, benché col contagocce, mediante swap (ossia in cambio di altri greggi più pregiati o prodotti raffinati) – bensì di ri-esportazioni di barili provenienti dall’estero. Da dove? Anche questa informazione è stata negata, in quanto riservata. È quasi certo tuttavia che si tratti di petrolio del Canada, Paese che grazie allo sviluppo delle sabbie bituminose ha una produzione esuberante – quasi come gli Usa – ma che non dispone di infrastrutture adeguate per l’export: un handicap che ha fatto crollare il prezzo del suo greggio, al punto che il Western Canada Select qualche mese fa valeva 40 $ meno del Wti (a sua volta già scontato rispetto all’europeo Brent).
La provenienza canadese spiegherebbe tra l’altro l’imbarazzo delle autorità statunitensi. Tra le questioni di politica energetica più spinose oltre Oceano non c’è solo il dibattito sull’export di greggio, ma anche il progetto della Keystone XL: la pipeline – che dovrebbe portare greggio canadese verso la Gulf Coast – attende da più di cinque anni il via libera alla costruzione perché contestatissima da un lato dagli ambientalisti, che ritengono possa agevolare lo sviluppo delle inquinanti "oil sands", e dall’altro dai nazionalisti, che temono che Ottawa voglia servirsi degli Usa come ponte per le esportazioni.
Il petrolio da sabbie bituminose ha molti nemici anche in Europa, che hanno spinto – finora invano – perché Bruxelles ne disincentivi l’uso. Washington non avrebbe interesse a pubblicizzare di avergli aperto le nostre porte.