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 2014  febbraio 05 Mercoledì calendario

IL CAOS A BANGKOK FERMA L’ECONOMIA


Il voto di domenica non ha sciolto lo stallo che paralizza la Thailandia, né ci si aspettava che lo facesse. Se non altro i disordini non sono precipitati, a parte qualche sparatoria, e tanto è bastato alla moneta locale per prendere fiato, dopo aver perso quasi il 6% in tre mesi. Il Paese resta però ostaggio del confronto tra il premier Yingluck Shinawatra e il leader del movimento di piazza Suthep Thaugsuban.
Nell’11% dei distretti, soprattutto nel sud controllato dall’opposizione, gli anti-governativi hanno impedito ai cittadini di votare. In nove province le operazioni sono state sospese e per avere i risultati si dovrà aspettare che in queste zone le elezioni siano ripetute. Passeranno mesi prima che possa formarsi un Governo e quello in carica non potrà prendere decisioni importanti né sbloccare gli investimenti pubblici. Il Partito democratico, principale forza di opposizione, dopo aver boicottato il voto, ha chiesto alla Corte costituzionale di annullarlo e di sciogliere il partito del premier, e sicuro vincitore, Pheu Thai (Per i thailandesi). Tolte le province dove non si è votato, solo il 46% degli aventi diritto è andato alle urne, contro il 75% del 2011.
Dall’inizio delle proteste, a fine ottobre, i fondi d’investimento hanno drenato 4,8 miliardi di dollari dai mercati obbligazionari e azionari di Bangkok e la Borsa ha perso il 10%. L’ondata di vendite che colpisce i Paesi emergenti ha trovato nel caos politico un catalizzatore che potrebbe far vivere al bath le tensioni viste su peso argentino e lira turca. Un dazio pesante su un’economia già in frenata: nel 2013, il Pil è cresciuto del 3%, dal 6,5% del 2012. Le previsioni per il 2014 sono state corrette al ribasso due volte e non si dovrebbe superare il 3%, contro stime che oscillavano tra il 4 e il 4,5 per cento.
Gran parte dei problemi sono cominciati con il rallentamento della Cina, il principale mercato di sbocco per le imprese thailandesi. L’export rappresenta il 70% del Pil e il suo calo pesa sui conti con l’estero. Nel 2013, il deficit commerciale si è attestato a 22,1 miliardi di dollari.
Il prolungarsi dello stallo comincia a preoccupare anche una comunità degli affari assuefatta agli scossoni come quella di Bangkok (18 colpi di Stato in 81 anni) e le imprese iniziano a ridimensionare le campagne pubblicitarie e a ritardare il lancio di nuovi prodotti. Certo, niente in confronto a quello che accadrebbe altrove, almeno per ora. Il responsabile della Toyota in Thailandia, dove il colosso produce più di 800mila veicoli l’anno, ha però messo in forse progetti per 600 milioni di dollari. Anche per l’immobiliare gli affari cominciano a rallentare e con i Governi di mezzo mondo che sconsigliano viaggi a Bangkok, voli e alberghi sono sempre più vuoti, un duro colpo per un settore che vale il 7% del Pil.
Per proteggersi dalle crisi esterne, il Governo ha varato politiche mirate a incentivare i consumi, ad esempio aumentando del 35% il salario minimo, concedendo sgravi fiscali sull’acquisto di auto e prima casa e distribuendo sussidi ai coltivatori di riso, per i quali sono stati spesi 21 miliardi di dollari dal 2011. Una misura contestata dall’opposizione, che la considera una mera compravendita di consensi. Il programma genera 6 miliardi di dollari di perdite l’anno e rischia di trasformrsi in un boomerang, perché il Governo non riesce a pagare i debiti contratti con i contadini e questi ora minacciano di salire a loro volta sulle barricate. Per recuperare risorse, il Governo vorrebbe vendere le riserve di riso accumulate, ma la commissione anti-corruzione ha aperto un’inchiesta sul premier, sortendo, come primo effetto, il blocco dell’acquisto di 1,2 milioni di tonnellate da parte di Pechino.
Molte attese di rilancio si erano concentrate sul piano da 50 miliardi di euro per le infrastrutture, ma anche questo è ostaggio della crisi politica.
Rispetto ad altri Paesi dell’area, l’inflazione resta sotto controllo, mentre il sistema bancario ha un’esposizione estera pari alla metà di quella del 1997, quando scoppiò la crisi del Sud-est asiatico. Preoccupa invece l’indebitamento delle famiglie, salito dal 55% del Pil del 2008 all’80%, grazie ai prestiti facili, soprattutto nell’immobiliare. Se la congiuntura dovesse peggiorare, chi ha un mutuo potrebbe avere problemi a sostenerlo.