Stefano Folli, Il Sole 24 Ore 5/2/2014, 5 febbraio 2014
GLI IMITATORI DI GRILLO
L’idea di contestare il capo del proprio Stato nel momento in cui si rivolge, al di fuori dei confini nazionali, all’ampia platea del Parlamento europeo non era ancora venuta in mente a nessuno. I movimenti più estremisti, i più convinti negatori dell’Europa, hanno sempre fatto attenzione a non oltrepassare questa soglia limite. Ma ieri la Lega ha infranto il tabù. E lo ha fatto nel giorno in cui Napolitano chiedeva una netta inversione nelle politiche d’austerità.
S arà anche vero, come ha detto lo stesso presidente della Repubblica, che i contestatori erano «marginali». Nell’emiciclo lo erano di sicuro. Tuttavia il risentimento anti-europeo che esprimono non è affatto residuale nei territori dell’Unione. Al contrario. In Francia il partito di Marine Le Pen viaggia al primo posto nei sondaggi d’opinione. Anche altrove i movimenti contrari all’integrazione sono spavaldi, convinti di ottenere un ottimo risultato alle elezioni di maggio. Il discorso di Napolitano, intriso di un europeismo tanto radicato quanto innovativo, consapevole che fra tre mesi la posta in gioco sarà molto alta, rappresenta un tentativo di rinvigorire il fronte di chi crede nell’Unione e rischia oggi di rassegnarsi allo stallo, se non addirittura alla sconfitta.
Ovvio quindi che l’intervento potesse non piacere a quanti preparano la campagna elettorale sulla base di altri presupposti. Per sapere quali non serve nemmeno ascoltare una dichiarazione di Salvini; bastava leggere i cartelli inalberati ieri nell’aula dell’assemblea: «no all’euro», «fuori dall’euro»... Una sintesi perfetta della demagogia anti-Europa, lasciata sgorgare proprio davanti a Napolitano per esprimere disprezzo verso le istituzioni.
Il fatto è che con questa esibizione la Lega, o meglio quel che ne resta oggi, tenta di agganciarsi in qualche modo all’ondata dei "grillini". Uno sforzo persino elementare nelle modalità, rivelatore di una condizione di difficoltà senza precedenti da parte del Carroccio. Grillo scatena la gazzarra nell’aula del Parlamento di Roma (salvo poi rivelare un minimo di pentimento, segno che il caos è andato oltre il segno preventivato) e i leghisti tentano di fare il bis a Strasburgo. È un’imitazione evidente, nemmeno troppo riuscita. Perché il "grillismo" ha rappresentato, e in parte rappresenta ancora oggi, un movimento di massa con cui bisogna fare i conti. Anch’esso ha cominciato ad annaspare e le ultime mosse, compreso il grottesco "impeachement" contro il capo dello Stato, rivelano l’involuzione massimalista dei Cinque Stelle. Tuttavia il fenomeno è stato, e forse è ancora, possente.
Il leghismo di Salvini sembra invece regredire verso un manicheismo estremista che può esaltare Borghezio – in prima fila ieri – ma che suscita soprattutto perplessità e fastidio. S’intende, tutto si spiega in chiave elettorale. Sia Grillo a Roma sia i leghisti a Strasburgo pensano solo a rastrellare un po’ di voti in vista di quelle elezioni europee che rappresentano un valido sondaggio da usare in casa propria per soppesare i rapporti di forza al tavolo che conta. Il tavolo che determinerà gli equilibri politici nella prossima legislatura.
La Lega dice di non volere il ritorno di Casini nel centrodestra. È una battaglia persa in ogni caso, ma lo è ancora di più se il malandato Carroccio non riuscirà ad esistere nemmeno nel voto europeo. Nulla sarà facile per gli ex seguaci di Bossi. Non basta imitare Grillo per ereditarne i consensi. Anzi, il fenomeno in corso è l’opposto: sono piuttosto gli elettori leghisti che tendono a identificarsi nei Cinque Stelle, man mano che il messaggio si radicalizza. Aspettiamoci allora altre invenzioni come quella di Strasburgo di qui alle elezioni di maggio. Grillo e la Lega, uniti dall’odio verso l’Europa e dalla speranza di arginare il proprio declino.