Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  febbraio 05 Mercoledì calendario

ALTRO CHE ELEFANTINO FELICE DUMBO «SCHIAVO» NEL CIRCO


«L’elefante che non dovremmo mai dimenticare».
Così, titola il Telegraph in oc­casione dell’uscita del libro di John Sutherland, sul più famo­so elefante mai esistito. Si tratta di Dumbo, il protagonista del film prodotto da Disney e usci­to nel 1941 in USA (1948 in Ita­lia).
Dumbo è l’elefantino dalle larghe orecchie, che gli permet­tono di volare, e dal cuore tene­ro e sensibile ridicolizzato da tutti, tranne che dal topo Timo­teo, il suo unico amico. Nato nel 1860 nell’odierna Eritrea, Jum­bo era uno scheletrico elefanti­no venduto a un serraglio di Pa­rigi, dopo che la madre era stata uccisa. Lo troviamo poi allo Zoo di Londra, letteralmente coperto di piaghe, i piedi con ampi crateri infetti. La claustro­fobia lo rendeva agitato e uno dei metodi adottati per quietar­lo era una lunga lancia acumi­nata, conficcata nelle carni da custodi volonterosi. Natural­mente tutto questo accadeva ben lontano dagli occhi di chi pagava il biglietto per andarlo a vedere.
Per i giovani aristocratici in­glesi, tra i quali Winston Chur­chill, Jumbo non era altro che un fraterno gigante cui dare lec­cornie e dal quale farsi traspor­tare sulla schiena a passeggio. Pochi visitatori si accorgevano che il suo temperamento placi­do non era altro che il riflesso di uno spirito spezzato e l’espres­sione dei suoi occhi non era in­dotta dall’amore, ma dal terro­re. Quando la natura fece pro­rompere la sua sessualità, ren­dendolo poco maneggevole, i padroni decisero di venderlo per poche sterline. Il circo era la sua naturale destinazione.D’al­tronde erano gli anni in cui Jose­ph Merrick, meglio noto come L’Uomo Elefante, provocava brividi di orribile e morbosa at­trazione nella popolazione che voleva vedere la sfigurante de­formazione del suo cranio, pa­gando pochi centesimi per il bi­glietto.
Elefante gigante­sco o uomo defor­me, quale la diffe­renza? Jumbo eb­be dunque un nuovo padrone, PT Barnum, showman americano e ve­ro maestro di truffe che fiu­tò subito l’affare, forse vo­lendo richiamare nello spettatore una liason tra l’elefante incavigliato e il negro incatenato e tra­sportato dalla sua madre terra oltre l’Atlantico.Inca­pace di eseguire gli esercizi imposti agli altri elefanti nel cir­co di Barnum & Bailey’s, viag­giava in continuazione su un grande camion pitturato per es­sere messo in mostra.
Per renderlo più docile i cu­stodi gli somministravano ge­nerose dosi di alcol e, quando questo non funzionava,c’era la frusta. La sua immagine fu usa­ta per vendere di tutto, dalle giarrettiere ai lassativi. Quando giunse la fine, fu crudele come la sua povera vita. Durante un trasporto in Canada, un treno piombò sui carri ancora sulle ro­taie.
Chi era presente narra che Jumbo salvò la vita di un giova­ne elefante, prima di girare la sua grande testa contro l’impe­tuosa locomotiva in arrivo. Qualcuno disse anche che era ubriaco e qualcun altro suggeri­sce che si suicidò Neanche do­po morto Barnum ne risparmiò la dignità, ideando un Tour fu­nerario per lucrare qualche dol­laro, ma l’ignominia non era fi­nita.
Quando il suo corpo andò di­strutto, durante un incendio nel 1975 alla Tufts University, le ceneri vennero raccolte in un va­so di arachidi imburrate e tosta­te. L’intento dell’autore, attra­verso la triste storia di Jumbo è di attirare l’attenzione del mon­do su di un animale che stiamo colpevolmente perdendo, bra­mosi del suo avorio, un anima­le, capace di aiutare i fratelli ma­lati, vegliare i morti e sognare.
Sognare di essere Dumbo, in un film di Disney e non in que­sta terra d’inferno.