Stefano Filippi, Il Giornale 5/2/2014, 5 febbraio 2014
CHE FATICA LASCIARE L’AZIENDA È COME PERDERE UN FIGLIO
Bill Gates lascia la presidenza di Microsoft, che ha fondato assieme a Paul Allen e fatto crescere fino a diventare l’uomo più ricco del mondo: il suo patrimonio personale stimato ieri dall’agenzia Bloomberg è pari a 74,4 miliardi di dollari. Un gruzzolo che consente al cinquantottenne genio del computer di schiodarsi con il sorriso dalla più importante poltrona del suo impero e ritagliarsi un ruolo da «padre nobile»: farà il consulente per la tecnologia. Gli succede John Thompson, 64 anni, già membro del consiglio di amministrazione, un personaggio che dirà poco a qualche smanettone di internet ma è stato al comando di colossi dell’informatica come Ibm e Symantec. La decisione fa scalpore perché lasciare il comando di un’azienda è un momento cruciale quasi quanto darle vita. Bill Gates compirà 60 anni il 28 ottobre 2014, ha moglie e tre figli e un patrimonio sterminato che destinerà in gran parte in beneficenza. Ha potuto compiere la sua scelta in tranquillità, completando il ricambio con la nomina ad amministratore delegato di un ingegnere indiano di 46 anni, Satya Nadella, un mago del computer che sostituisce un altro guru della Silicon Valley, Steve Ballmer.
Qualcuno fa un passo indietro dalla propria creatura imprenditoriale perché stanco, oppure si sente inadeguato alle sfide del mercato, o desidera godere i frutti di una vita di lavoro o semplicemente fare soltanto ciò che vuole. C’è invece chi lascia nel momento in cui ritiene di aver individuato l’erede giusto, ed è convinto che se cercasse per altri vent’anni non ne troverebbe uno uguale. È una scelta cruciale perché è quasi sempre senza ritorno. Ci sono naturalmente le eccezioni, come il caso di Bernardo Caprotti, fondatore e anima di Esselunga, tornato al timone della catena di supermercati a quasi 80 anni deluso dall’operato del primogenito Giuseppe. Caprotti ha lasciato ogni carica lo scorso Natale anche per i postumi di un incidente; ai figli ha intestato ingenti capitali mettendo la gestione aziendale in mano a manager di fiducia. Ingvar Kamprad, il fondatore di Ikea, classe 1926 (un anno più giovane del patron di Esselunga) ha invece passato il testimone al figlio più giovane, Mathias. Ma per farlo ha atteso di aver compiuto 87 anni. Molti imprenditori, come Silvio Berlusconi o la dinastia dei Ferrero, inseriscono per tempo i figli in posizioni-chiave e preparano la successione a piccoli passi.
C’è invece chi non pensa affatto di passare la mano. A 92 anni Liliane Bettencourt, la persona più ricca di Francia, è ancora la principale azionista di L’Oréal,multinazionale dei cosmetici. A 83 anni suonati il finanziere Warren Buffett guida ancora la società di investimenti Berkshire Hathaway: nell’aprile 2012, quando scoprì di avere un cancro alla prostata, si premurò di avvertire gli azionisti assicurando che nulla sarebbe cambiato nella sua attività lavorativa. Giovanni Bazoli è saldo in sella alla banca Intesa-SanPaolo con 82 primavere sulle spalle. Alcuni hanno dovuto cedere il bastone del comando per guai giudiziari come Salvatore Ligresti, finito in carcere a 81 anni. Altri avrebbero continuato ancora a condurre le proprie aziende se non fossero stati stroncati da un destino avverso, come Steno Marcegaglia e Riccardo Garrone.
Fare l’imprenditore non è un lavoro né un mestiere. È un particolarissimo miscuglio di genio e coraggio, di intuito e attitudine al rischio, di capacità di comando e immaginazione del futuro, di abilità innovativa e responsabilità verso collaboratori e dipendenti. Il profitto non è mai la molla primaria che spinge una persona a impegnare tutto se stesso, la famiglia e i risparmi in un’avventura imprenditoriale: spesso si guadagna di più facendo il manager che il padrone, e ci si prendono anche meno rischi. Mentre il manager aspira alla liquidazione, l’imprenditore invece desidera soltanto che l’azienda gli sopravviva, continui a portare il nome e non lasci sulla strada le famiglie che vivono grazie a quel lavoro. L’azienda è quasi come un figlio, una prole che nasce dal talento e si consolida con le cure, l’attenzione, l’ambizione, la forza di credere in se stessi, e anche con una certa dose di fortuna. Ma a un certo punto della vita dai figli ci si separa; dall’azienda invece il distacco è molto più difficile e l’identificazione si fa più stringente. Viene a mancare il gusto del rischio, l’adrenalina della sfida, ma si esercita meno anche quella fondamentale qualità – che soltanto i grandi possiedono – di sapersi fidare. Ci si priva del piacere di vivere da protagonista e vedere i frutti del proprio lavoro. Ci si sente più leggeri e meno responsabili, e non sempre vivere senza pensieri è una conquista.
Bill Gates lascia a quasi 60 anni una poltrona digrande prestigio che gli ha fruttato una montagna di soldi, ma in realtà non abbandona il posto di lavoro. Farà il consulente, aiuterà a svilupparei nuovi software Microsoft lasciando però al suo erede campo libero e piena responsabilità. «Ci sono molte opportunità davanti a noi», ha dichiarato ieri in un video. Perché per un imprenditore il futuro non è mai nero, ma nasconde sempre una possibilità di costruire.