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 2014  febbraio 05 Mercoledì calendario

LE AQUILE DEL REGIME DI KIEV: «I CATTIVI NON SIAMO NOI»


Il solito rivoluzionario, el­metto da Patto di Varsavia in testa, scruta con il binoco­lo, da dietro un cumulo di pneu­matici, i cordoni della polizia ad una trentina di metri. In via Hrushevsgoko, nel cen­tro di Kiev, dove sono scoppiati gli scontri più feroci della rivolta ucraina, fa una certa impressio­ne trovarsi dall’altra parte delle barricate. In mezzo alla milizia, la polizia, che sbarra il passo ai ri­voluzionari a meno di un chilo­metro dal Parlamento. I «catti­vi »,come sono stati dipinti,a co­minciare dai temibili Berkut, i corpi speciali anti sommossa ac­cusati di brutalità e pestaggi fil­mati in diversi video su You Tu­be. «Posso mostrarvene altret­tan­ti in cui i miei uomini veniva­no massacrati di botte dalla fran­gia estremista dei manifestanti. Noi siamo qui a garantire l’ordi­ne pubblico», sottolinea un ca­pitano di 27 anni. Occhi azzurri ed inglese fluente parla come un ufficiale dei carabinie­ri da noi, ma al­le spa­lle ha del­le barricate al­te metri con i rivoluzionari di guardia.
I Berkut, le «aquile»,stan­no in seconda linea pronti ad intervenire quando il gio­co si fa duro. Tutti marcan­toni con il ba­laclava calato sul volto sem­brano ingigan­titi dalle mi­metiche gri­giastre, che li distingue da­gli altri poli­ziotti. Sul pri­mo momento quando vedo­no­un giornali­sta, che fino al giorno prima circolava sulle bar­ricate, restano stupiti. Poi uno di loro si mette a ridere e si fan­no fotografare senza problemi. Il ministero dell’Interno per­mette per la prima volta ad un italiano un reportage così ravvi­cinato. L’unica limitazione, non da poco, è che gli agenti an­tisommossa non possono né parlare, né dire i loro nomi. Qualcuno evita l’intralcio face­n­do con le dita il segno di vittoria.
Un altro vuol sapere dove uscirà l’articolo «perché ho degli ami­ci a Napoli».
A quelli in prima linea in mez­zo agli alberi con scudi, manga­nelli, casco e granate assordanti prende quasi un colpo quando si trovano l’intruso con la mac­china fotografica alle spalle.
Serhiy Burlakov, portavoce del ministro dell’Interno, con­ferma che «150 agenti sono fini­ti in ospedale. Sappiamo bene che in Francia, Germania, Gran Bretagna e Stati Uniti i poliziotti non sono molto morbidi con chi li attacca. I nostri bruciava­no come torce sotto le molo­tov ».E aggiunge:«Quella di piaz­za Majdan non è più una prote­sta pacifica. Ci sono le prove che in alcuni edifici occupati hanno le armi».
Durante gli scontri più violen­ti piovevano bottiglie incendia­ri­e una dietro l’altra ed i manife­stanti avevano anche una cata­pulta. «Ho visto i miei uomini prendere fuoco. Per salvarli al­tri agenti spegnevano le fiam­me con gli estintori - racconta il capitano con gli occhi azzurri - . Alcuni si sono beccati un sam­pietrino che gli ha spaccato il ca­sco e la testa. È stata molto du­ra ».Dall’altra parte non c’è solo il pianista mascherato che suo­na una musica struggente, ma militanti ben addestrati.
Sulla prima linea la guerriglia urbana ha lasciato spazio a quel­la psicologica. I ribelli hanno in­nalzato schermi per inondare gli agenti anti sommossa con no­tizie e slogan pro rivoluzione. La polizia ha reagito con un’as­sordante musica patriottica.
Sul fronte della barricate ci so­no pure giovani reclute, poco più che ventenni. Pochi parla­no ucraino e la maggioranza usa il russo. Un reparto arriva dalla Crimea, la penisola filo Mosca per eccellenza.
L’aspetto paradossale è che da questa parte delle barricate i giovani della milizia vivono pressappoco come i ribelli dal­l’altra. Si riscaldano con la le­gna davanti a fusti vuoti dove ac­cendono il fuoco. Patiscono il freddo a tal punto che il primo cordone riceve il cambio ogni ora. Bivaccano negli edifici cir­costanti, ma al posto delle ten­de da campo di Majdan hanno una sfilza di autobus malmessi, dove riposarsi con il riscalda­mento a manetta. Davanti alle barricate è stato portato un enorme riflettore antiaereo, co­me quelli della seconda guerra mondiale. Una specie di ca­mion circondato da lamiere, lungo e pesante,sembra l’ariete che potrebbe sfondare le barri­cate.
Delle accuse di aver sparato e ucciso dei manifestanti non vo­gliono sentir parlare. «Abbia­mo l’ordine di usare solo proiet­tili di gomma, se necessari» giu­ra il capitano Ruslan. I morti, pe­rò, ci sono stati, ma al ministero dell’Interno sostengono che il calibro dei proiettili non era in dotazione agli agenti. Qualsiasi provocatore,da una parte o dal­l’altra, può fare il cecchino per trascinare il Paese nel caos.
Nella piazza ribelle sono ap­pese le foto di decine di attivisti spariti nel nulla.I partiti dell’op­posizione hanno posto come condizione il rilascio di tutti gli arrestati e pretendono la testa dei «boia responsabili della re­pressione ». Ruslan, l’ufficiale dagli occhi azzurri,è convinto:«Non voglia­mo l’escalation. Penso che la gente comune abbia paura di un peggioramento della situa­zione e speri in una soluzione pacifica che eviti il rischio di una guerra civile».