Pierluigi Magnaschi, ItaliaOggi 5/2/2014, 5 febbraio 2014
GLI ITALIANI AMANO DENIGRARSI ALL’ESTERO
Ricordo che nei miei soggiorni giovanili negli States un collega universitario, un giorno, mi disse: «Sono in grado di capire immediatamente che uno, anche se parla inglese in modo indistinguibile dai nativi, è italiano, quando scopro che sparla spassionatamente del suo paese, davanti ad amici di altre nazionalità».
Un aspetto di questa sindrome masochista è emerso ieri al Parlamento di Strasburgo quando, nel corso del discorso del presidente Giorgio Napolitano, i rappresentanti della Lega, anziché stare in rispettoso silenzio, hanno scatenato una gazzarra politica che non colpiva direttamente il presidente della repubblica (ce l’avevano con l’euro) ma che, in ogni caso, sminuiva l’importanza dell’intervento di Napolitano che, in quel momento, rappresentava, come dice la Costituzione «l’unità nazionale».
La patologica tendenza ad autodenigrarci, che è vecchia di quasi 800 anni (e che deriva da quella sciagurata stagione in cui i vari stati italiani lottavano fra di loro come tanti galli nello stesso pollaio) viene ingigantita dall’atteggiamento dei media, che sono giustamente sospettosi su ogni documento elaborato da italiani in Italia, mentre non solo ingollano acriticamente, ma anche diffondono con ampi starnazzamenti qualsiasi fesseria a nostro danno pubblicata, o anche ciclostilata, in qualche capitale estera.
L’ultimo fatto (che è andato nei titoli di testa dei tg e sulle prime pagine dei giornali, senza un filo di critica) è relativo all’entità della corruzione in Italia. L’accusa, si diceva, viene dalla Ue. Si basava invece su una supposizione media, stimata valida in tutti i paesi evoluti, che il 3% del pil sia frutto di corruzione. La percentuale era già barcollante di per sé. Che sia stata enfatizzata solo per l’Italia, dai media italiani, dimostra lo stato di provincialismo beota che aggredisce i nostri media. Che poi sono gli stessi che, negli anni passati, pubblicavano (contro loro stessi; ma il masochista si sa, trova il suo piacere nel far male a se stesso) la graduatoria che poneva la libertà di stampa in Italia al 128mo posto, a livello mondiale, subito dopo il Burkina Faso. Poi si scoprì (ma i giornali non lo scrissero) che questa statistica del piffero era inventata da un giornalista Rai e diffusa da New York. Soltanto i media italiani ci cadevano dentro a piedi uniti per poi essere ripresi dai corrispondenti stranieri a Roma. E così l’Italia, a sproposito, veniva denigrata a livello mondiale, al di là dei suoi difetti che sono pure tanti. Non servirebbe inventarne altri.