Massimo Novelli, la Repubblica 4/2/2014, 4 febbraio 2014
I FANTASMI DI LEOPOLI
Dieci anni fa, nella notte fra il 4 e il il 5 febbraio del 2004, Nuto Revelli moriva a Cuneo, la città in cui era nato nel 1919. Ufficiale degli alpini sul fronte russo, comandante partigiano nelle formazioni di Giustizia e Libertà, dopo la Liberazione diede voce attraverso i suoi libri, da Mai tardia La strada del Davai, a Il mondo dei vinti, a L’anello forte, ai “senza storia”: dai soldati mandati dal fascismo a morire sul Don ai contadini poveri delle vallate cuneesi scarnificate dalla guerra, dalla fame, dall’emigrazione.
Era stata la tragica campagna di Russia, la carneficina dei nostri mi-litari, a segnarlo per sempre. Ritornato in Italia, ferito nel corpo e soprattutto nell’animo, all’indomani dell’armistizio dell’8 settembre 1943 non ebbe alcun dubbio su che cosa si dovesse fare: salì in montagna e cominciò la Resistenza contro i nazifascisti. Anche adesso, tra le tante iniziative volute per il decennale della sua scomparsa dalla Fondazione Nuto Revelli di Cuneo, guidata dal figlio Marco Revelli, da Antonella Tarpino e da Beatrice Verri, la guerra di Russia s’impone come un tema centrale. Nell’ambito della sistemazione del suo archivio, oltretutto, stanno emergendo numerosi scritti inediti in cui Nuto continuava a testimoniare e a cercare la verità sulla distruzione dell’Armir, il corpo di spedizione in Unione Sovietica, e sulla sorte dei dispersi. In questa documentazione hanno un particolare rilievo le carte relative alla cosiddetta commissione ministeriale Leopoli, istituita nel 1987 dall’allora ministro della Difesa Giovanni Spadolini con il compito di fare luce, che tuttavia non venne fatta, sul massacro di almeno duemila soldati italiani da parte dei tedeschi a Leopoli, in Ucraina, dopo l’8 settembre ‘43. Dell’eccidio avevano parlato agenzie e giornali dell’Urss, ma già nel 1960 Jas Gawronski aveva raccolto per
Epoca le dichiarazioni di alcune persone, a Leopoli, che avevano visto con i loro occhi i tedeschi che uccidevano i militari italiani.
Nuto fece parte della commissione. E, insieme a Lucio Ceva e a Mario Rigoni Stern, scrisse il testo della relazione di minoranza, in assoluto dissenso con le conclusioni della maggioranza che, nel 1988, decretò che a Leopoli, dove peraltro era di stanza il comando logistico della nostra armata, non era avvenuta alcuna strage. Ragioni di Stato, pressioni internazionali, “armadi della vergogna” come quello di cui parlarono per primi i giornalisti de L’Espresso Franco Giustolisi e Alessandro De Feo, in cui erano stati imboscati i fascicoli sulle stragi naziste in Italia, concorsero a occultare la verità su Leopoli. Le vicende della commissione amareggiarono profondamente Nuto Revelli. Tanto che un anno dopo, partecipando a un programma culturale della Radio 3 della Rai, Antologia, allo storico Mario Isnenghi confidava: «Tu sai quanto quell’esperienza mi bruci ancora. Mi è stato rinfacciato non una ma cinquanta volte che mi manca il distacco storico, e che sarei quindi uno storico un po’ così, sui generis. Io invece sostengo che proprio coloro che mi incolpavano di non avere distacco storico, erano troppo distaccati: erano lontani dagli avvenimenti di guerra addirittura da angosciarmi, da spaventarmi». Se i testi di Antologiafino
ad ora non erano mai stati trascritti, del tutto inediti sono gli appunti (conservati alla Fondazione Revelli) che l’autore de La guerra dei poveriprese il 14 maggio del 1987 per una conferenza su Leopoli tenuta a Monta d’Alba. Quel pubblico incontro fu organizzato perché Romain Rainero, uno dei membri della maggioranza della commissione ministeriale, aveva infranto il silenzio stampa sui lavori, proposto da Revelli e accettato dagli altri, con un’intervista a Canale 5. Parlando in televisione, Rainero aveva affermato, tra l’altro, che tra i componenti della commissione ministeriale c’era unanimità di vedute. Nuto lo negò decisamente. E spiegava: «Un punto sul quale non c’è unanimità fin dall’inizio: le frange dell’Armir o del Comando Retrovie Est (Leopoli). Io e Rigoni (Stern, ndr) insistiamo da sempre su questo punto! Fin da quando si escludeva l’esistenza del Comando Retrovie Est». In qualche docu-
mento, infatti, quest’ultimo compariva erroneamente come “Retrovo”. Tutto ciò aveva indotto i membri di maggioranza della commissione a negare l’esistenza di un contingente militare con il nome “Retrovo” in Ucraina. Era la premessa, pertanto, per negare la strage.
Proseguiva Nuto Revelli: «Non abbiamo delle certezze. E ci spaventano i detentori delle certezze. La tradizione vuole che la “storia militare” sopravvaluti la documentazione ufficiale, le relazioni dei comandi (vangelo). Io ho un’altra visione della storia (anche se non sono uno storico): “la storia vissuta dal basso”, una storia della quale sappiano poco o nulla. Manca una «tradizione culturale» in questo senso». La concezione di Nuto della storia dal basso partiva da un’amara riflessione: «le dichiarazioni dei soldati non contano nulla, per cui magari vengono mandate al macero». Poi «scoppia il “caso Leopoli” ed allora (...) parliamo di “errore storico” e neghiamo che sia mai esistita una divisione Retrovo». Annotava Nuto a questo punto: «Poi si scopre che non si tratta di un “errore storico”, e che il Comando Retrovie dell’Est amministrava migliaia di uomini (supporto logistico 8a armata). Scopriamo una compagnia presidiaria (la 63a) di cui non si conosce la sorte. Scopriamo il 350o autoreparto di Balta (Ucraina) presente all’8 settembre. E chissà quante altre cose sono ancora nell’ombra». Concludeva i suoi appunti così: «Sia ben chiaro! Una cosa è il disastro dell’Armir, ed un’altra è il dopo disastro, con delle frange dimenticate o disperse. E un’altra cosa ancora è l’8 settembre ed il dopo 8 settembre 40 anni dopo». Il riordino delle carte di Nuto sulla Russia, secondo la Fondazione Revelli, può essere il punto di partenza per battersi affinché vengano aperti gli «armadi della vergogna» nei quali è imprigionata la verità su Leopoli.