Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  febbraio 04 Martedì calendario

«DYLAN PLAGIATO DALLA FARROW». MA ORA WOODY RISCHIA L’OSCAR

«Bisogna cancellare Woody Allen dai candidati all’Oscar?». Se lo chiede il New York Times, dopo le accuse di molestie sessuali e pedofilia rilanciate da un noto opinionista del quotidiano. Più in generale il
New York Times apre un dibattito sul “quoziente etico” nei premi cinematografici, Oscar e dintorni. La questione è di bruciante attualità: la settimana prossima circa seimila delegati cominceranno a votare per l’assegnazione degli Oscar, e la cerimonia della consegna avverrà il 2 marzo a Hollywood. Woody Allen figura in lizza per la migliore sceneggiatura originale con il suo ultimo film “Blue Jasmine”. Lo stesso film porta agli Academy Awards anche una candidata al premio come migliore attrice, Cate Blanchett. E proprio la Blanchett, insieme con Diane Keaton (un’altra attrice favorita di Allen) sono state chiamate in causa direttamente. Dylan Farrow, figlia adottiva di Allen e figlia naturale di Mia Farrow, è l’accusatrice del regista. Dylan ha rilanciato accuse sulle molestie che avrebbe subito nel 1993 quando aveva sette anni. “Che l’abbia fatta franca — ha scritto la giovane donna al columnist Nicholas Kristof — mi ha ossessionato mentre crescevo”. La 28enne Dylan oggi mette sotto accusa anche Hollywood e «gli attori che hanno continuato a lodare pubblicamente Woody Allen nelle premiazioni».
Non è certo la prima volta che accuse sulla moralità — o in questo caso accuse di rilevanza penale — incrociano gli Oscar. Il precedente più simile è quello di Roman Polanski: lui a differenza di Allen fu addirittura condannato per stupro da un tribunale americano (infatti non può più mettere piede negli Stati Uniti), e tuttavia questo non impedì i giurati degli Academy Awards nel 2003 di tributare un trionfo al suo film “Il pianista”. Polanski si fermò alla nomination per la migliore regìa, ma vinsero l’Oscar sia la sceneggiatura sia l’attore protagonista Adrien Brody.
Controversie etiche di altra natura hanno infiammato le votazioni dell’anno scorso per “Zero Dark Thirty”, il film sulla caccia a Osama Bin Laden. Molti liberal americani lo considerarono come un’apologia della tortura usata nell’interesse della sicurezza nazionale. L’attore Martin Sheen, membro dell’Academy, a un certo punto prese parte alla campagna per escludere quel film. Può darsi che alla fine le polemiche abbiano avuto qualche influenza sul voto: “Zero Dark Thirty” partì tra i super-favoriti con cinque nomination, ma alla fine dovette accontentarsi di un Oscar solo per l’editing musicale. Tra i casi più recenti ci fu anche la “Vita di Pi”, regìa di Ang Lee. Fu accusato sia per lo sfruttamento e le misere paghe dei tecnici degli effetti speciali; sia per il maltrattamento degli animali veri usati durante le riprese. Questo non impedì ad Ang Lee di portarsi a casa l’Oscar come migliore regista.
Quest’anno una polemica “minore” (rispetto alle accuse contro Allen) ha già fatto una vittima. Una canzone che gareggiava per la migliore colonna sorona (dal film “Alone Yet Not Alone”) si è vista ritirare la nomination dopo le accuse di gruppi religiosi secondo i quali sarebbe offensiva nei confronti dei cristiani. Ma risalendo indietro agli anni Sessanta e Settanta, quando l’America era lacerata dalle passioni e dalle contestazioni (sui diritti dei neri, sulla guerra del Vietnam), anche Hollywood era molto più polarizzata di oggi, con star di destra come John Wayne, di sinistra radicale come Jane Fonda e Barbra Streisand. Allora gli Oscar erano perfino più politicizzati di oggi. I “giudizi morali” su cui s’interroga il
New York Times, erano impliciti nelle selezioni e nelle esclusioni di quegli anni infuocati.
In quanto al caso Woody Allen, da anni spacca il mondo artistico tra innocentisti e colpevolisti. Kristof ha ammesso di essere amico personale di Mia e Dylan
Farrow, e ha riconosciuto che la magistratura non trovò alcuna ragione per procedere contro l’attore e regista. Un panel di psichiatri lo ha scagionato dando implicitamente credito alla sua tesi: che gli stessi ricordi della bambina sarebbero stati manipolati da una madre vendicativa, impegnata nel 2003 nella causa di divorzio. E’ la tesi ripresa dagli avvocati di Allen che evocano «una vendetta, nella quale non c’entrano né Woody Allen e neppure Dylan Farrow». In quanto a Cate Blanchett, non si pente del suo innocentismo, si limita a osservare che «è stata una vicenda dolorosa per tutta la famiglia, bisogna augurargli un po’ di pace».