Piero Colaprico, la Repubblica 4/2/2014, 4 febbraio 2014
FENOMENOLOGIA DELLA MAZZETTA
Meno male che questa volta non si potrà dire che sono i pubblici ministeri di Milano ad esagerare». La battuta che circola oggi tra Roma e Milano avrebbe la paternità del procuratore aggiunto Francesco Greco. Ed è una battuta amara, perché la relazione della Commissione Europea sulla lotta alla corruzione, diffusa ieri, appare catastrofica. E basterebbe un salto indietro di trent’anni per ritrovare una sintonia tra le «accuse» internazionali di oggi e le «accuse» nazionali di ieri.
Quelle che proprio Greco, nel lontano 1985, mosse per chiedere e ottenere a Milano l’arresto del politico socialista Antonio Natali. Era considerato il talent scout di Bettino Craxi ed era finito a San Vittore per le mazzette incassate grazie alla metropolitana milanese.
Il «sistema» era là, ed era già visibile per chiunque lo volesse vedere. Anche se fu tempo dopo, con l’inchiesta Mani Pulite (1992), che anche i più avveduti osservatori rimasero di ghiaccio: si scoprì, sempre a proposito della Mm milanese, che gli imprenditori pagavano abitualmente due «terminali», un democristiano o un socialista, e non sorgevano mai problemi. Chi ritirava la valigetta dei soldi, divideva tra tutti i partiti, compresi i verdi e i repubblicani. E i comunisti? Gestivano la loro
quota con i lavori affidati alle Coop.
Ma che cosa si voleva scoprire di più dopo i titoloni di Tangentopoli? Dalla corruzione persino sui pannoloni dei ricoverati al Pio Albergo Trivulzio alle megatangenti versate dal un colosso come la Fiat per vincere gli appalti. Dallo scandalo Enimont, costato anche la vita a tre persone, alle mazzette a go-go per evitare i controlli della Finanza, era il «sistema» che veniva via via alla luce.
Greco c’era allora ed è ancora rimasto lì, non s’è mosso dal quarto piano della procura milanese. E dal suo dipartimento, come da quello di Alfredo Robledo, passano ancora oggi le ultime indagini che rivelano come ragiona, si muove, traffica una buona fetta di classe dirigente italiana. Lo scandalo Maugeri-San Raffaele (2011) racconta le vacanze da nababbo dell’ex presidente della Regione Roberto Formigoni, che aveva asservito i suoi uffici agli spregiudicati faccendieri della Sanità pubblica. Il crac Fonsai (2013) ha portato in carcere i Ligresti al completo. E tra le ruberie del «cerchio magico» del fondatore della Lega Umberto Bossi, con le lauree comprate in Albania, e la corruzione del pd Filippo Penati, sotto processo a Monza, in questi anni spicca nei fascicoli milanesi l’uomo politico dal quale non si può prescindere: quel Silvio Berlusconi che viene chiaramente indicato come esempio negativo dalla relazione europea.
Ricapitoliamo: se si è salvato grazie alla prescrizione nel processo Mills (corruzione in atti giudiziari), Berlusconi è stato condannato penalmente in via definitiva per frode fiscale, perdendo il seggio al Senato. È stato condannato civilmente in via definitiva per essere stato il «dominus » e il «prim’attore» della corruzione dei giudici che hanno
tolto la Mondadori a Carlo De Benedetti. È stato condannato in primo grado per concussione e prostituzione (caso Ruby); ed è sotto processo, a Milano e altrove, sempre per i suoi tentativi di pagare testimoni, comprare politici, aggiustare processi.
Se a una parte d’Italia Berlusconi può parlare di «accanimento giudiziario», è certo che l’Europa non la vede allo stesso modo. Se però si vuole essere onesti, occorre tenere ben presente che ogni volta che si è fatta una «radiografia» delle indagini sulle mazzette in giro per i tribunali della Penisola, il «tangentaro della porta accanto» spunta ormai in migliaia di episodi.
Vengono arrestati dipendenti delle ferrovie e delle aziende comunali (Roma), delle autostrade (Nord-Est), delle Asl (Caserta). E poi ecco sindacalisti (Salerno) presi con 3mila euro in tasca per «non organizzare uno sciopero». Un traduttore (Sicilia) che «taroccava» le dichiarazioni degli immigrati. Un infermiere (Puglia) che per 20 euro «faceva saltare la fila». Un tecnico comunale (Milano) che per 100 euro «aggiustava» le pratiche delle insegne dei negozi.
Non sarà certo Berlusconi il responsabile di questo fiorire di tangenti sia dei miserabili sia dei ricchi, ma un dato di fatto emerge dalla relazione europea con chiarezza ed è incontrovertibile: finché al governo e come capo dell’opposizione c’è stato Berlusconi, sono state fatte solo leggi ad personam per salvare il fondatore di Forza Italia dai guai, mentre nessuna seria legge anticorruzione in vent’anni è passata. E sino alla prima e unica legge, firmata dal ministro Paola Severino, si sono moltiplicati scandali anche dolorosi. Un assessore in Lombardia accusato di comprarsi i voti della ‘ndrangheta (Minno Zambetti), centinaia di consiglieri regionali che con i rimborsi pubblici hanno cenato come se fossero miliardari (il laziale Franco Fiorito e suoi succedanei), sino a quel costruttore che viveva la tragedia del terremoto in Abruzzo come una cosa bella: «Eh certo, io ridevo stamattina alle tre e mezzo dentro al letto». Ora, alla vigilia del semestre italiano ai vertici dell’Europa, è l’Europa che «condanna» l’Italia tutta, non solo quelli che ridono perché il sistema della corruzione li fa ricchi.