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 2014  febbraio 04 Martedì calendario

GRILLO NON STA PERDENDO CONSENSI


[Nicola Piepoli]

Nicola Piepoli ne ha viste tante. Il sondaggista torinese, alla soglia degli 80, presiede l’istituto di ricerca sociale omonimo, e lavora con l’intensità e la passione di un neolaureato. Quando lo chiamiamo, di sabato mattina, è in mezzo a una conference call negli uffici milanesi della sua società.
Domanda. Piepoli, ieri sera l’Italicum ha avuto il primo sì alla Camera, l’Italia accelera. Matteo Renzi, neosegretario Pd, ha impresso al quadro poilitico un ritmo indiavolato. Che ne pensa?
Risposta. Renzi coglie l’attimo fuggente, è un leader istantaneo direi..
D. In che senso?
R. Giusto per questi tempi rapidi, perché appare l’unico capace di adattare la morfologia della sua azione. Se procede così si avvia a essere il leader dei prossimi vent’anni di politica italiana.
D. Un ventennio renziano, dopo un ventennio berlusconiano?
R. Certo, Renzi potrebbe essere il nostro quarto duce...
D. Quarto?
R. Sì, perché non si può dimenticare Francesco Crispi evidentemente (varie volte premier dal 1887 al 1901, ndr), poi ci sono, ovviamente, Benito Mussolini e Silvio Berlusconi. Ognuno, direi, ha interpretato la democrazia a modo suo. Renzi potrebbe essere in forma di duce numero zero.
D. Duce potrebbe non piacere, però...
R. Guardi il primo a essere chiamato «duce», a livello popolare, fu Giuseppe Garibaldi. E lui sì che seppe adattare la sua azione. In un certo senso, il Renzi di adesso lo ricorda. E d’altra parte neppure l’eroe dei due mondi fu presidente del consiglio ma non si può dire che non abbia cambiato l’Italia.
D. Anche Berlusconi, forse, avrebbe da eccepire. Sulla qualifica di duce, dico...
R. Ho sempre considerato il Cavaliere un perfetto democratico, a differenza di altri osservatori. Insomma, quando è stato il momento se ne è sempre andato, senza troppi drammi, accettando le regole del gioco: la sua storia è piena di questi momenti prima ancora della decadenza da senatore.
D. Certo, dal ribaltone del 1994...
R. ... alla sconfitta del 2006 in cui, vorrei ricordare, perse per un’inezia: 24mila voti. E non stette lì a questionare, a chiedere riconte, ad adombrare brogli: se ne andò. E così è stato quando, nel novembre del 2011, fu di fatto dimissionato da Giorgio Napoletano che lanciò il governo di Mario Monti. Mai avuto dubbi sul senso del Cavaliere per la democrazia. Del resto Forza Italia è una forza statale, nel senso che, pur all’opposizione anche dura, non si rifugia nell’antiStato come il M5s, per esempio.
D. Ecco, appunto, i grillini. In questi giorni, stanno venendo fuori. Non solo per le ruvide contestazioni parlamentari ma anche perché vanno in tv. Che gliene pare?
R. Sono antiStato che non è mai questione di violenza o non violenza. C’è stato l’antiStato violento, quello delle Brigate Rosse, è ci può essere quello non violento, come il loro. Ma sempre di antiStato si tratta. E direi che c’è sempre stato in questo Paese, familiare ad ampi strati della popolazione. In altri tempi si manifestava con l’anarchismo che cercava di abbattere re ed imperatori.
D. Oggi, che presa continua ad avere il movimento di Beppe Grillo? C’è chi dice che un certo consenso, di pancia e di protesta, sia già rientrato all’ovile, a destra o a sinistra che fosse...
R. È sempre grosso modo al 20% che non è poco: un italiano su cinque. Ma, ripeto, c’è sempre stato perché storicamente l’Italia ha sempre avuto un vuoto di vertice: la nostra unità è di soli 150 anni, ce ne vorranno forse altrettanti per avere un’idea di Stato condivisa. L’unico vero stato unitario, durato otto secoli, era stato quello del Sud, sotto varie forme. A nord c’erano i comuni e poi le signorie.
D. Beh però in certi periodi, si è avvertito meno questa sentimento di lacerazione. Pensiamo agli anni democristiani...
R. Perché allora la Chiesa ha supplito. Ed è un’ottima supplenza quella che organizza le cose.
D. Qualcuno dice che questa agitazione grillina in Parlamento sia figlia proprio della consapevolezza del movimento e dei suoi vertici di stare perdendo terreno nei confronti di Renzi che fa le cose...
R. Probabile ma la «numerica» dei voti rimane la stessa: non aumentano né diminuiscono. Resta sempre intorno al 20% che magari potrebbe diventare anche un 25 ma il dato non cambia sostanzialmente. Significa gente che acconsente, che si identifica.
D. Ma i due guru, Grillo e Gianroberto Casalegno, non dovrebbero forse smettere di stare in cabina di regia e uscire più allo scoperto?
R. Ripeto, se le percentuali sono stabili è segno che all’elettorato, alla fine, va bene così.
D. E i Forconi? Sono espressione dello stesso mood?
R. No, anche perché sono durati «lo spazio di un mattino». Li ho visti a Roma, in Piazza del Popolo: erano 300 persone da tutta Italia. Un movimento sparpagliato! Che cosa possono fare? Se considera che le già citate Br erano 700...
D. In tutta questa grande accelerazione, Enrico Letta, per il quale lei spese parole di elogio quando la intervistammo a settembre scorso, come sta messo?
R. Letta continua a essere a 50% dei consenso personale. Che è un bel risultato.
D. Derei. Strano però: in tutto questo decisionismo che imperversa, ci si poteva aspettare che un certo attendismo del premier fosse punito...
R. Vede? Per la gente il suo è un apparente non decisionismo. Ci si potrebbe aspettare che diminuisca e invece tiene.
D. Beh, allora Renzi dove sta?
R. Il segretario del Pd è al 58%, ha superato persino Napolitano, che sta al 56, in leggero calo .
D. Mi dica qualcosa di Berlusconi...
R. Il Cavaliere è sempre fermo al 20.
D. Ma come? Va al Nazareno, fa l’accordo? E sta sempre laggiù?
R. Guardi, come diceva un mio amico: «Quando uno si fa una certa immagine, se la tiene». Ormai l’indice di B. in termini di fiducia è basso. Naturalmente, se ci spostiamo sulla capacità di leadership, lì lo troverà alto.