Donato Carrisi, Corriere della Sera 4/2/2014, 4 febbraio 2014
IL GIGANTE E LA BALLERINA, CORPI RIDOTTI A COSE
Chissà quanti hanno posato distrattamente lo sguardo su quella valigia che Gagandeep Kaur e Rajeshwar Singh si portavano appresso nel loro pellegrinare per dodici ore, dalla mattina alla sera del 27 gennaio. Quanti sono stati così vicini a quel trolley, senza immaginare che conteneva il corpo della giovane Mahtab Savoji, strangolata.
Eppure è stato un viaggio lungo. Alla stazione di Milano, dove di valigie se ne vedono parecchie, magari potranno anche non averci fatto caso. Ma a Lecco, qualcuno si sarà domandato cosa ci facessero quei due a passeggio con quel bagaglio sul lungolago. E a Venezia, i fidanzati assassini saranno passati per una romantica coppietta in vacanza.
C’è qualcosa di vile e anche di osceno nell’atto di rinchiudere un cadavere in una valigia. È fra i pochi gesti che superano per spregevolezza perfino l’omicidio, la più turpe fra le azioni disumane.
La vittima viene definitivamente degradata da «persona» a «oggetto», e finisce nel contenitore destinato ad accogliere le cose, appunto. Gli abiti, i ricordi, ma anche la biancheria sporca, il nostro ordine o il nostro disordine, e tutte le segrete impudicizie.
Nel 2009 l’amministratore di condominio Giovanni Santini, stabile di via Urbano a Roma, non avrebbe mai immaginato che un giorno sarebbe morto solo per aver chiesto a degli inquilini di pagare l’affitto. A sessantatré anni aveva certamente alle spalle un bel po’ di rognose questioni coi condomini, ma Gabriel Uijca Mihai e sua moglie Gheorghita Nikita hanno preferito fracassargli il cranio piuttosto che versare la pigione. La polizia è arrivata prima che riuscissero a finire di ridipingere l’appartamento in cui era avvenuta la mattanza. La valigia ancora era aperta sul pavimento, come le fauci di un mostro appena imboccato con un pasto umano.
Buphinder Singh viveva a Brescia, era alto un metro e novanta e pesava ottanta chili. Tre anni fa, i coinquilini e connazionali indiani che lo hanno ammazzato, forse al culmine di una lite in stato di ubriachezza, non hanno tenuto conto della sua stazza quando hanno dovuto decidere come portar via il suo cadavere dall’appartamento all’ultimo piano di un palazzo senza ascensore. Così lo hanno infilato a forza in un trolley, trascinandoselo dietro per più rampe di scale. L’ultimo pianerottolo gli è stato fatale e, da una lampo rotta, ha fatto capolino il volto di Buphinder.
Oksana Auskelyte era arrivata in Italia dalla Lituania per cambiare la propria vita. Faceva la ballerina di lap-dance a Pistoia e aveva trovato l’amore con quel ragazzo forte, un ex parà, che sembrava volerla proteggere. Andrea Falaschi all’inizio non dà peso alla sua professione, finché non scopre quanto invece sono pesanti gli sguardi degli altri uomini che si posano sulla sua donna anche quando non è sul palco a esibirsi. Così Andrea diventa ossessivamente geloso e nel febbraio del 2008 uccide Oksana in modo violento e laborioso, poi piazza il cadavere in una valigia. La stessa che lei aveva riempito con tutte le sue cose e le speranze di ragazza per emigrare in Italia quattro anni prima. I cadaveri chiusi nelle valigie hanno sempre una storia da raccontare. Non sono solo zavorra, invece sono il peso della vergogna di chi li trasporta. E sono il souvenir di un viaggio all’incontrario, cominciato dalla fine.