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 2014  febbraio 04 Martedì calendario

POVERA ROMA MIA, SEMBRI KABUL


[Carlo Verdone]

«Non ti chiedo oro, o marmo. Solo un po’ di catrame!», sbotta Carlo Verdone, imbufalito per lo stato pietoso in cui versa Roma, sua amatissima città, da quando ha cominciato a piovere. Una cosa normale, d’inverno. Ma un evento catastrofico per la Capitale, da tempo abbandonata a se stessa e ora in ginocchio. Via del Corso allagata, buche e voragini ovunque, acqua a catinelle nei tunnel della metropolitana, gente impaurita e dispersa: un degrado impensabile per la Città Eterna. Che adesso sembra tornata alla barbarie pura. Quando Unni e Vandali scorazzavano sotto le Mura Leonine. In procinto di lanciare il suo ultimo film, «Sotto una buona stella» , il ’Carletto’ nazionale sembra il Tevere in piena: gonfio e lì lì per tracimare. Quando è troppo, è troppo.
Visto che è successo, per qualche giorno di pioggia in più?
«É un vero disastro! Adesso, non ti chiedo il marmo, o l’oro. Ma un po’ di catrame sì. Almeno per salvare quello che resta. Amo profondamente questa città magnifica. Che adesso, però, è zozza, trascurata, piena di buche. Dove si muore, o ci si fa molto male. Io ne so qualcosa».
Caduto nelle buche anche lei, come Fellini ai suoi tempi?
«Io sono finito dentro le buche due volte. Con tutta la moto. Per fortuna i miei polsi, tenendo saldamente il manubrio, hanno impedito il peggio. Più passa il tempo, più le voragini s’allargano. Qua pare Kabul... La prima volta, era il ’95, mi sono rotto la schiena. Dolori enormi, pensavo fosse l’ernia. E invece, era la frattura che si risaldava. Mi sono dovuto operare. Un tipo, per passare con la sua Mercedes, aveva tolto le fiaccole che segnalavano il pericolo. Sapevo dei lavori in corso: al mattino, gli operai scavavano. Poi, rientro a notte fonda e non c’é più segnalato nulla. Anvedi che bravi!, penso, hanno già finito il lavoro. E mi ritrovo dentro il fosso, con la moto su di me e la colonna vertebrale fratturata ».
Altro che «Grande Bellezza »...
«La domenica mattina, Roma è un cimitero di bottiglie e sporcizia. I giovani bevono e ne lasciano migliaia a terra. Se vai a Campo de’ Fiori, al Pantheon, o a Piazza Navona, non c’è un residente che non si lamenti del rumore, delle risse, del caos. La gente scappa. E i turisti si adeguano: a Parigi, mai farebbero il bagno nelle fontane. A Roma, sì. E poi, il Tevere sembra il Mekong. Di notte, le sue rive si riempiono di gente vociante. Se passi a Via del Corso, pare la Praga del 1973: poco illuminata, serrande chiuse, luci basse».
Possiamo parlare di neobarbarie?
«Se continua così, il problema non saranno più le buche, o le voragini gonfie d’acqua. Le consolari, per esempio, sono un inferno. Di recente, ho ripensato alla prima scena di Roma , il film di Fellini: gigantesco ingorgo sul Grande Raccordo Anulare, maxi-tamponamento e diluvio. Ho vissuto la stessa angoscia. Ma mentre la grandezza di Fellini rendeva la romanità poetica e simpatica, qua di simpatico è rimasto poco. Ma porca miseria! Con tutte le tasse che paghiamo, dove finiscono i soldi per la città? Ci sono troppi soldi buttati, o regalati agli amici degli amici. Meno eventi frivoli e più servizi essenziali per i cittadini. Più attenzione alla loro salute. Quando mio zio, negli Ottanta, fu ricoverato al San Giacomo, già c’era il piano dei motociclisti. L’80% dei motociclisti romani è caduto nelle buche. Siamo allo sfascio».
Uno sfascio anche culturale?
«Certamente. Ogni giorno, un cinema chiude. Abbiamo perso l’Etoile, il Corso, il Metropolitan, il Roma... Chiudono i teatri. Chiudono i templi della cultura. Il grande Tombolini, l’unico che vende libri rari, è in difficoltà. Vedo negozi rassegnati ai souvenirs, alle t-shirt, all’elmo dell’antico romano, alla maglietta di Totti».
Da amante di Roma, che cosa farebbe per risollevarne le sorti?
«Bisogna riempire le buche. Ma non con materiale di risulta, bensì con del vero catrame. Non oso pensare come stanno, adesso, le periferie. Ma certo, l’idea degli allagamenti a Via del Corso è insostenibile. E poi, occorre un’illuminazione migliore. Le strade sono buie. Roma è una città buia. Penso a Cesare Augusto, quando disse: ’M’avete dato una città di pietre, io ve la restituisco in marmo’. Io dico: dateci una manciata di catrame. Il catrame ci salverà ».