Fulvio Abbate, Il Fatto Quotidiano 4/2/2014, 4 febbraio 2014
PROFESSIONE OSPITE PER SPIRITO DI CENSO
Marisela Federici, “regina dei salotti romani” (Massimo Giletti cit.), domenica scorsa, come e meglio di un Cristo Pantocratore, campeggiava immensa, in collegamento dalla sua dimora sull’Appia Antica, alle spalle dei molti ospiti di L’Arena, Rai1.
Armata di sorriso accattivante e telegenico ben oltre la recitazione, la signora era lì in veste di puro spirito del Censo, convitata di platino oro e smalto, evocata come tavola sinottica vivente del lusso e della socialità affluente al tempo del caso Armellini. Come altrove accade con i licaoni o le nutrie, il servizio pubblico tramite Giletti mostrava, insomma, come esattamente riluce una creatura che non ha timore di sfoderare il proprio status insieme a uno chignon a forma di cipolla imperiale. La signora c’è riuscita pienamente. “Marisela”, è bene precisarlo per chi non dovesse bazzicare il sito dagospia.com , è da anni il pezzo forte della cuspide mondana di Roma. Nata a Caracas, la signora ha trovato infine nell’Urbe la sua ragion d’essere sociale, così la sua villa “La Furibonda” sull’Appia Antica è una sorta di “direzione strategica” del suo dominio. Lo so, si potrebbe dire tutto meglio, perfino ricordare di quando, sempre lei, intervistata sulla crisi spiegò con una picca di sincera indignazione decisionista che i suicidi dettati dalle difficoltà economiche erano da riferire un’inaccettabile forma patologica: “Non voglio essere cinica. Secondo me hanno un altro tipo di problemi. Hanno problemi mentali, più che economici o altro. Sono persone che hanno già una tara mentale che li porta a gesti disperati. Allora leggi, informati. Guarda agli altri Paesi. Tu devi informarti, bussare alle porte, non arrenderti. Che vuoi fare? Buttarti al Tevere? No!”.
BENE, CHIUNQUE, forse perfino i più moderati, compreso l’imprenditore Ernesto Preatoni, il “raider di Garbagnate”, presente da Giletti in studio, lo stesso che ha precisato che non andrebbe mai ospite a “La Furibonda”, alla sua vista, dopo queste parole, potrebbe sentire germogliare dentro un antico aforisma di Mao dedicato alla lotta contro la diseguaglianza, ovvero “il comunismo non è amore, il comunismo è un maglio che si usa per schiacciare il nemico”, e invece…
E invece, misteri della sincerità, evidenza di una non-romana finita nell’epicentro dell’approssimazione paracula e mai sincera fino in fondo, così come ci ha insegnato Flaiano a proposito di Roma (ribadiamo che la signora è venezuelana e non “pariola”), invece, dicevamo, alla fine, Marisela Federici, merito di un dono caratteriale che perfino nelle cadute più rovinose la rende convincente e magistrale come Gloria Swanson nell’ultima scena di Viale del tramonto, riesce idealmente a scendere le scale della propria natura, spudoratamente lontana dalle sovrastrutture, ci riesce come pochissime al mondo. Il maglio evocato alla fine resta nell’astuccio di Bulgari, e il King-Kong della lotta di classe si trasforma in comparsa soddisfatta del sequel de La grande bellezza, quella vera, sceneggiata dai suoi stessi protagonisti.
@fulvioabbate