Piero Bianucci, La Stampa 3/2/2014, 3 febbraio 2014
VECCHIO GALILEO COSA VAI CERCANDO IN QUEL PORTONE
Il più grande scrittore della letteratura italiana di ogni secolo. Così Italo Calvino parlò di Galileo Galilei. Una provocazione? No. Un giudizio critico. Siamo nel 1967, c’è la corsa alla Luna, russi contro americani, quasi ogni giorno un razzo decolla (o esplode). Calvino ha pubblicato Ti con zero, avvio del suo progetto di letteratura scientifica. Anna Maria Ortese ha vinto il premio Strega con Poveri e semplici e guarda sgomenta alla tecnologia che mette uomini in orbita. Prova «tristezza e fastidio», scrive sul Corriere della Sera. È a lei che Calvino risponde con il suo giudizio su Galileo, il 24 dicembre. Non si fa illusioni, sa che «le notizie di nuovi lanci spaziali sono episodi d’una lotta di supremazia terrestre», ma contrasta una visione consolatoria del cielo: «Chi ama la Luna davvero non si accontenta di contemplarla come un’immagine convenzionale», vuole conoscerla e capirla, come Galileo, che «appena si mette a parlare della Luna innalza la sua prosa ad un grado di precisione e di evidenza ed insieme di rarefazione lirica prodigiose».
Non finì lì. Carlo Cassola, che dal neorealismo della Ragazza di Bube, premio Strega 1960, stava approdando al romanzo rosa, replicò indignato il 31 dicembre: «Io credevo che Galilei fosse il più grande scienziato, ma che la palma di massimo scrittore spettasse a Dante».
Corsi e ricorsi storici. Di queste cose si torna a parlare ora che Einaudi ha tradotto, a cura di Stefano Gattei, Galileo. Scienziato e umanista dello storico americano John Heilbron (pp. XVI-543, € 32), seguito pochi giorni fa dall’editore Springer con Galileo, l’artista toscano di Pietro Greco (pp. 598, € 32), dove «artista toscano» è la citazione di un verso del Paradiso perduto di Milton, il poeta inglese che nel 1638 volle incontrare Galileo, un vegliardo ormai quasi cieco, nel confino di Arcetri. Ed ecco che l’antico dibattito rinverdisce sui giornali e di nuovo sorprende che Galileo non fosse solo l’uomo del cannocchiale, dei satelliti di Giove, della Terra che «eppur si muove». Ci si dimentica che Galileo era un uomo di cultura, e all’epoca la cultura era una: artistica, scientifica, letteraria, musicale. Persino a Heilbron, allievo di Thomas Kuhn (La struttura delle rivoluzioni scientifiche) e professore a Berkeley, sembra «riduttivo ritrarre l’astronomo come un eroe della rivoluzione scientifica»: perbacco, era molto di più, era un umanista!
Pietro Greco analizza bene l’humus culturale in cui Galileo cresce. Il padre Vincenzo era musicista affermato. Autore di libri polemici in forma di dialogo, con il ragazzo Galileo fece esperimenti per dimostrare, ad esempio, che Pitagora sbagliò quando mise in rapporto 1:2 la tensione delle corde per passare da un’ottava all’altra; basta appendere pesi alle corde e si trova che il rapporto corretto è 1:4. Il nuovo metodo scientifico era nell’aria di casa.
Negli stessi anni Galileo andava a scuola di disegno, diventava uno svogliato studente di medicina, leggeva l’Ariosto e il Tasso, scriveva saggi per esaltare il primo e stroncare il secondo. Postillava il Petrarca osservatore della natura con un entusiasmo quasi pari a quello manifestato per il sorridente rigore dell’Ariosto. Senza aver conseguito una laurea, per conquistare una cattedra Galileo tiene due lezioni sull’Inferno di Dante. Qui scienza ed estetica sono inestricabili. Per risolvere una diatriba annosa, Galileo stabilisce matematicamente forma e dimensioni dell’inferno traendo dal testo tutte le informazioni necessarie. L’inferno è un cono con una sezione pari a un dodicesimo della Terra. Al vertice del cono, immerso nel ghiaccio fino al petto, sta conficcato Lucifero, il cui ombelico occupa il centro del mondo. Il poeta stesso ci fornisce il rapporto tra la propria statura e quella di Nembrot, il gigante che abita in fondo all’inferno, e tra le misure di Nembrot e il braccio di Lucifero; stabilito che il braccio di Lucifero è pari a 645 braccia umane, si può calcolare che la sua statura è di 1936 braccia... Di passaggio in passaggio, risulta infine che l’inferno si estende per 500 miglia dal centro della Terra.
Galileo applica l’arte del disegno nel Sidereus nuncius: sette acquerelli raffigurano le fasi lunari, crateri e montagne stanno in equilibrio tra realismo e impressionismo. Sulla busta di una lettera di Sagredo spedita il 28 ottobre 1609 da Aleppo abbozza il 7 gennaio dell’anno dopo la posizione dei satelliti di Giove. Testo e immagine nel libro che inaugura l’astronomia moderna diventano un presagio di multimedialità.
Al grande narratore e polemista del Dialogo dei massimi sistemi – dove peraltro emerge anche il retore che cavalca le argomentazioni del rivale e gliele ritorce contro, il tutto in una ben percepibile atmosfera barocca – corrisponde il poeta satirico e licenzioso del poemetto Contra il portar la toga. Scritto nel 1540 per farsi beffe dei colleghi professori, mostra una insofferenza verso l’obbligo di indossare la toga alquanto interessata: era infatti imbarazzante avere sulle spalle quell’indumento quando si varcava la soglia delle case di piacere. Galileo, uomo sanguigno, così robusto da storcere con le mani un ferro di cavallo, ne sapeva qualcosa.
Conclusioni? Una potrebbe essere questa. Solo nel 1820 la Chiesa riconobbe ufficialmente che la Terra gira su se stessa e intorno al Sole. Solo nel 2014 – forse – Galileo verrà riconosciuto come l’intellettuale completo che fu.