Francesco Bonami, La Stampa 3/2/2014, 3 febbraio 2014
IL LATO VIOLENTO DI WOODY
Le accuse di molestie fatte dalla figlia adottiva a Woody Allen riportano alla ribalta una complicata, ma nemmeno troppo, questione. Può il successo creativo di una persona renderla immune e al di sopra di comportamenti infami? La logica vorrebbe che la risposta fosse una sola: no! Ma la realtà dei fatti ci dimostra che invece il genio artistico è spesso guardato con un occhio di riguardo.
A volte addirittura assolto da accuse vere e terribili. Voglio fare un esempio paradossale prendendo un’opera d’arte di questi tempi sempre più famosa «La Ragazza con l’orecchino di perla» di Vermeer, che stiamo per vedere a Bologna. Mettiamo che salti fuori un documento che dimostra che l’autore dell’opera, il mitico pittore fiammingo, la ragazza con l’orecchino la trattava in modo perfido sottoponendola a violenze inaudite, non solo, un altro documento dell’epoca ci dice che Vermeer picchiava brutalmente anche la moglie. Come guarderemmo questo capolavoro? Cambierebbe la nostra percezione? E ancora. Saremmo disposti a rinunciare a questa opera d’arte, a questo capitolo della storia dell’arte se fosse possibile eliminare anche le violenze dell’autore? Questa domanda è più pressante quando l’arte è più attuale come i film di un regista che andiamo a goderci al cinema la domenica pomeriggio. Come ci poniamo davanti alla sua opera una volta saputo che dietro alle risate che ci fa fare c’è un personaggio oscuro e violento? Questa domanda è molto difficile perché non è una domanda isolata nel mondo della cultura e dell’arte. È una domanda che continua a tornare a galla. Il grande poeta americano Walt Whitman fu al centro di un scandalo di pedofilia, eppure le sue poesie sono sublimi. Possiamo privarcene alla luce del suo comportamento? Picasso trattava le sue amanti e compagne in modo atroce. Mettiamo in cantina Guernica per punirlo? A Ezra Pound, altro grande poeta, piacevano Mussolini ed Hitler, anche se poi fece ammenda. Bruciamo i suoi «Cantos»? Per avere l’arte più grande dobbiamo per forza accettare il pacchetto completo fatto a volte di violenza, perdizione, morte, crudeltà, ingiustizia? Michael Jackson è finito in rovina per le accuse, anche per lui di pedofilia e molestie sessuali. La sua musica è diventata peggiore per questo? Gauguin mandò al manicomio sua moglie. Così come Rodin fece praticamente impazzire la sua amante e grande scultrice Camille Claudel. La lista è infinita e comprende anche grandi filosofi, psicanalisti, musicisti e scrittori. C’è chi dice che la luce dell’arte si porta dietro inevitabilmente anche il buio della mente e dell’anima. Insomma il genio è di fatto un malato. Sicuramente uno che molesta una bambina di sette anni, famoso o meno che sia, sano non è. Ma essere malato non è un salvacondotto per l’impunità. Tuttavia la domanda è quella dell’inizio e la rivolgiamo a noi stessi. Vogliamo rinunciare ai capolavori della cultura, alle grandi idee come gesto di condanna verso le bassezze di chi questi capolavori ha creato? Sarei un ipocrita se dicessi di sì, senza ombra di dubbio. Il dubbio profondo, doloroso e oscuro, rimane. La nostra posizione è come quella dell’amico scrittore al quale il perfido Orson Welles nel film «Il Terzo Uomo», in cima alla ruota del Prater di Vienna dice: «Sai cosa disse quel tizio. In Italia, per trenta anni sotto i Borgia avevano guerra, terrore, assassini e spargimento di sangue, ma produssero Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera hanno avuto amore fraterno e cinquecento anni di democrazia e pace, e cosa hanno prodotto? L’orologio a cucù». L’orologio a cucù non è purtroppo la soluzione alla malvagità, ma se mettere un orologio a cucù al posto della Gioconda potesse servire ad impedire, anche solo per poco, la violenza degli uomini, credo che ci troveremmo tutti d’accordo, compreso il direttore del Louvre.