Giordano Bruno Guerri, il Giornale 3/2/2014, 3 febbraio 2014
SE IL SUCCESSO FA RIMUOVERE OGNI COLPA
Pochi giorni fa, guardando il bellissimo ultimo film di Woody Allen, Blue Jasmin, mi veniva in mente quanta gratitudine gli debbo – gli dobbiamo – per l’intelligenza e il divertimento che ha prodotto, per le risate e le riflessioni provocate film dopo film. Neanche per un attimo mi è passato per la mente il ricordo dello scandalo di tanti anni fa, quando si scoprì che aveva una relazione con la figlia adottiva Soon Yi, poi sposata probabilmente per metterci una pezza. Oggi le accuse di un’altra figlia, Dylan, costringono alla riflessione anche i più entusiasti ammiratori di Woody (fra noi lo chiamiamo così, come fosse un amico).
Riflessione amara. Perché ci si rende conto che il fascino dell’intelligenza, e la gratitudine per quel che se ne è ricevuto, finiscono per far sbiadire anche il senso della giustizia. Intendo dire che se si venisse a sapere qualcosa di simile su un personaggio qualsiasi – potente, ricco e famoso, ma che non ci ha fatto ridere e riflettere insieme – probabilmente gli daremmo addosso senza alcuna remora. Con lui no, non viene spontaneo, scatta una sorta di autocensura, e prima di arrivare alla conclusione razionale che Allen è una canaglia passano ancora nella testa le immagini e le battute meravigliose di Manhattan, di Io e Annie, di Provaci ancora Sam eccetera eccetera.
Accadde qualcosa di simile anche con Charlie Chaplin, che scandalizzò l’America con le sue spose-bambine, senza che il suo successo di genio venisse intaccato, e che alla fine venne perseguitato per l’antiamericanismo, più che per le vicende private. Che io sappia, non è mai scattata la molla di una benevola rimozione, invece, per Errol Flynn, più volte accusato di stupro e di rapporti con minori; né, più di recente, per Roman Polansky, alle cui spalle non ci sono risate, ma una condanna per avere avuto rapporti sessuali con una tredicenne e la tragedia della morte della moglie Sharon Tate, uccisa – incinta – da una banda di pazzi nel corso di un rito satanico. Se loro se la cavarono, fu più per il denaro, garanzia di avvocati e risarcimenti eccellenti, che per la simpatia e l’ammirazione che sapevano suscitare.
Alla base della nostra rimozione delle colpe – infamanti – di Woody e di Charlot non c’è dunque il loro successo, ma le risate che dobbiamo loro. Dev’essere lo stesso principio per cui molti bravi venditori – di cose o di se stessi – piazzano più facilmente la loro merce dopo avere inanellato una serie di barzellette azzeccate. Figuriamoci se la merce è ottima.
Sì, va bene, ma Dylan Farrow, che ora ha 28 anni, all’epoca dei fatti ne aveva sette, era sua figlia adottiva, si fidava di lui, era una bambina. Alla fine viene da sperare che abbia ragione chi, appena saputa la notizia, ha commentato: «Vorrà dei soldi da lui». Se così non fosse, se fosse vero quel che racconta Dylan, sarà difficile vedere serenamente il prossimo film di Allen, anche se a quasi ottant’anni riesce ancora a regalare bellezza, ironia, intelligenza. Ma sarà un lutto.