Bianca Di Giovanni, l’Unità 3/2/2014, 3 febbraio 2014
OLTRE MASTAPASQUA C’È BEFERA : CAPO DEL FISCO E PENSIONATO
Le dimissioni (forzate) di Antonio Mastrapasqua rischiano di aprire un pozzo senza fondo nella giungla di doppi e tripli incarichi della pubblica amministrazione italiana. Tra i grand commis di Stato ce n’è uno che sicuramente di incarichi ne ha due, pur essendo uno degli uomini teoricamente più impegnati del Paese, dovendo combattere la battaglia del secolo: l’evasione fiscale. Si tratta di Attilio Befera, direttore dell’Agenzia delle entrate e contemporaneamente presidente Equitalia (società di riscossione), dove condivide le poltrone di vertice proprio con Mastrapasqua, in questo caso vicepresidente. La cosa è nota e finora data per scontata (Le Entrate e l’Inps detengono rispettivamente il 51 e il 49% di Equiltalia) anche se tanto scontata non è, se è vero, come è vero, che altri direttori delle Entrate non sono stati al vertice di Equitalia.
Quello che pochi sanno, tuttavia, è che il capo assoluto del fisco italiano è già pensionato da anni, e da ex dipendente dell’Agenzia è stato rinominato come dirigente esterno a termine. Rinominato alle Entrate e rinominato in Equitalia. C’è da scommettere che lo status di Befera non provocherà un terremoto nelle prime file della burocrazia, per un motivo molto semplice: di pensionati che cumulano assegno previdenziale e trattamenti dirigenziali se ne contano a decine. Ma il direttore generale può vantare un record assoluto: oggi resta in servizio pur avendo superato il limite massimo d’età consentito dalla legge per la dirigenza pubblica. E qui l’anomalia raddoppia. La notizia è già filtrata sulla stampa nell’autunno scorso, senza tuttavia suscitare alcun clamore né apparente imbarazzo da parte dell’interessato. Befera ha compiuto 67 anni a giugno scorso, eppure è ancora lì ben piazzato sulla sua poltronissima, che anzi con il tempo è diventato un trono grazie alla fusione di tutte le Agenzie del Tesoro sotto la sua guida. Esattamente come per Mastrapasqua, anche lui è equiparabile a un monarca del fisco. Secondo una legge del 2001 i dipendenti pubblici dovrebbero andare in pensione a 65 anni (esclusi alcuni casi specifici come i professori universitari e i militari), con una proroga di massimo due anni, quindi fino a 67 anni. Il caso di Befera comunque non rientra nell’ipotesi di proroga, perché il direttore delle Entrate è andato in pensione prima, all’età di 65 anni. Ed è rimasto con un contratto da esterno confermato da diversi governi. Anche dallo stesso Letta. Il quale ha avuto l’accortezza di non citare nell’atto di nomina la legge 2001 sulle scadenze di legge. Altro fatto assai singolare.
D’altro canto quando si tratta di burosauri la legge non è mai uguale per tutti. Se non altro perché qui si tratta delle persone che scrivono le norme, non di quelle che sono chiamate a rispettarle. Per Befera e Mastrapasqua, ad esempio, fu scritta una norma ad hoc per consentire che gli emolumenti di Equitalia non fossero conteggiati ai fini del tetto previsto per i dirigenti pubblici. La querelle sulle retribuzioni di Befera è stata al centro di parecchie inchieste giornalistiche, fino all’accusa di guadagnare più di Barack Obama. Per evitare ulteriori incidenti diplomatici Befera ha deciso di rinunciare allo stipendio di Equitalia, premurandosi di annunciarlo in una audizione parlamentare. Insomma, in quella sede confermò di intascare più o meno quello che prevede il tetto, ovvero circa 310mila euro l’anno. Peccato che non abbia fatto parola della pensione, grazie a cui il tetto viene aggirato. Per i contribuenti e i pensionati – chiamati a stringere la cinghia per rimettere i conti in ordine – una vera beffa. E ora che l’accorpamento delle agenzie fiscali concede a Befera anche la supervisione della riforma del catasto il cerchio si chiude: superpoteri nelle mani di un altro intoccabile.