Andrea Bonanni, la Repubblica 4/2/2014, 4 febbraio 2014
ANDREA BONANNI
BRUXELLES
— La scelta di Enrico Letta di andare a Sochi è dettata da un ovvio pragmatismo politico. Questo, a sua volta, è reso necessario dagli enormi interessi economici e strategici che ci legano alla Russia. Ma non è solo una questione di portafogli. La tentazione del pragmatismo nei rapporti con Mosca è una costante geostrategica della diplomazia italiana. Fin dal tempo del «Patto di amicizia» firmato nel ’33 dal regime fascista e da quello staliniano, l’Italia ha sempre cercato, e spesso avuto, un rapporto privilegiato con la Russia nonostante la lontananza geografica e la distanza politica che le ha spesso separate.
In questo caso le motivazioni che spingono il premier italiano ad andare da Putin sono almeno di tre tipi. Il primo, Letta lo ha spiegato chiaramente, è la necessità di guadagnarsi l’appoggio di Mosca per la candidatura italiana alle Olimpiadi del 2024. Non ci si può candidare ad ospitare le Olimpiadi e allo stesso tempo utilizzare i giochi olimpici per una battaglia politica, sia pur sacrosanta, come la difesa dei diritti degli omosessuali.
La seconda ragione è di ordine economico. L’Italia ha già perso in buona parte il treno cinese
e non ha neppure cercato di saltare su quello indiano. Quella russa è una delle poche economie emergenti in cui invece il nostro Paese ha un ruolo importante e riconosciuto. Siamo il quarto partner commerciale di Mosca, dopo la Cina, l’Olanda e la Germania. La Russia è il nostro primo fornitore di gas e il secondo di petrolio. L’Eni ha enormi interessi strategici in quel Paese, a cominciare dal gasdotto South Stream che collegherà il Caucaso all’Italia aggirando l’Ucraina. I magnati russi stanno investendo pesantemente nell’economia italiana, da Gancia e Unicredit, e ancora di più potrebbero farlo in futuro. Un governo che sta per lanciare un grande progetto di privatizzazioni,
e che ha un disperato bisogno di investimenti, non può permettersi di voltare le spalle a simili potenziali clienti.
La terza ragione è politica e ha invece a che vedere con quella propensione al pragmatismo che abbiamo visto essere una costante della nostra diplomazia verso Mosca. Letta, come i suoi predecessori di destra e di sinistra, pensa che dalla Russia si ottenga di più con il dialogo che con il braccio di ferro. Anche sulla questione dell’Ucraina, l’Italia si colloca tra quei Paesi europei convinti che una soluzione della crisi si possa trovare solo tenendo in considerazione anche gli interessi della Russia e della importante componente russofila che esiste nell’Ucraina
orientale.
Del resto, in una Unione europea che resta sostanzialmente divisa nel definire la strategia da tenere con Putin, l’Italia si trova in una posizione di relativo vantaggio che facilita l’approccio dialogante. Non abbiamo vissuto la drammatica esperienza dell’occupazione, che ha lasciato ferite ancora aperte nei nostri cugini dell’Est europeo, e malamente richiuse in Germania. Non abbiamo i retaggi antagonistici da ex grandi potenze, che ancora fanno capolino nell’atteggiamento di Francia e Germania. Non possiamo permetterci l’olimpica indifferenza che contraddistingue la Spagna, la Scandinavia e alcuni dei “piccoli” paesi europei.
Infine, anche se si tratta di un “non detto” che nessun premier italiano ammetterà mai pubblicamente, il dialogo di Roma con Mosca è in qualche modo incentivato dalla antica difficoltà italiana ad inserirsi a pieno titolo nel nocciolo duro dell’Europa e degli affari europei. Come Mussolini era incline a vedere nella Russia comunista, nonostante le differenze ideologiche, un’altra “vittima” dei Trattati di Versailles che posero fine alla I Guerra mondiale, così i suoi successori democratici sono sempre stati tentati di utilizzare Mosca come una sponda utile ad aggirare le vecchie e nuove diffidenze europee verso il nostro Paese. Si trattasse di energia, di industria automobilistica (ricordate le fabbriche della Fiat a Togliattigrad?), o anche solo di pura vanità personale (pensiamo al Berlusconi del vertice Nato di Pratica di mare), l’Italia ha spesso trovato nella Russia un interlocutore meno prevenuto dei nostri partner più vicini e più stretti. E la Russia ha sempre trovato nell’Italia un partner più malleabile e ben disposto degli altri “grandi” europei.
La questione delle olimpiadi di Sochi non si discosta da questo modello. Se poi sarà più utile per la causa dei diritti omosessuali la presenza di Letta o l’assenza della Merkel, è difficile dirlo. Di certo la missione del presidente del Consiglio potrà aiutare un Paese come il nostro che sta facendo sforzi enormi per non sparire dal consesso dei grandi. E che in questa battaglia non è certo aiutato dai nostri partner europei.