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 2014  febbraio 03 Lunedì calendario

QUANDO LO STRANIERO NON È UN FENOMENO


Venerdì 31 il calciomercato ha chiuso i battenti e tutti già si chiedono: quale sarà il colpo da novanta? Ma soprattutto: chi sarà il bidone dell’anno? E quante bufale pascoleranno in più, sui prati erbosi della nostra accogliente serie A? Pensando di fare cosa gradita agli aficionados del pallone, e agli amanti dell’horror in genere, abbiamo approntato per voi la Sfida del Secolo, la partita che tutti, o forse nessuno, vorrebbe mai vedere: Bidoni vs. Bidoni. Tutti rigorosamente “made in serie A” e a denominazione d’orrore controllata. Per la cronaca (e la storia): all’inizio fu Luis Silvio Danuello, brasiliano, centravanti della Pistoiese. “Mai sentito nominare”, disse di lui Falcao appena sbarcato a Roma – nell’estate del 1980 – alla riapertura delle frontiere dopo l’embargo post mondiale ’66 (leggi disfatta azzurra con la Corea). All’inizio fu Luis Silvio, poi gli argini cedettero e nel Belpaese arrivò di tutto, da Aaltonen a Mirnegg, da Toffoli a Valenciano, da Caio a Caraballo, da Rambert a Smoje, e non è una filastrocca, ma la storia vera, documentata, di 34 anni di calciomercato italico. La sfida sta per cominciare. Solo posti in piedi. E buon divertimento!
BIDONI SQUADRA A (4-4-2, allenatore Carlos Bianchi): Goicoechea; Gresko; Roque Junior; Sorondo; Athirson; Andrade; De La Pena; Vampeta; Gheddafi; Pancev; Blissett.
Goicoechea (portiere, uruguayano, Roma). “Anvèdi che autogol! Mamma mia Goicoechea che ha fatto! Penso che qui, oggi, è la fine per Goicoechea”. Dalla telecronaca di Carlo Zampa, Roma-Cagliari 2-4, ascoltabile su Youtube. Fortissimamente voluto da Zeman, aveva già buttato nella sua porta, con le sue mani, un pallone non irresistibile di Candreva nel derby, poi perso 3-2. Fine dell’esperienza italiana. Calamità.
Gresko (difensore destro, slovacco, Inter e Parma). Il suo ciuffo color pannocchia popola ancora gli incubi dei tifosi interisti che il 5 maggio 2002, all’Olimpico di Roma, nella partita che dovrebbe trasformarsi nella festa-scudetto, ne combina di tutti i colori spalancando la porta a Poborski, che segna a raffica. In nerazzurro l’aveva voluto Tardelli, detto il Gresko delle panchine. A rischio linciaggio, fugge nottetempo. Wanted.
Roque Junior (difensore centrale, brasiliano, Milan e Siena). Immaginate Pippo, il dinoccolato e svogliato amico di Topolino, in mutande e maglia rossonera. Incredibile ma vero, il brasiliano ingaggiato dal Palmeiras riesce nell’impresa di giocare 3 stagioni col Milan. Che nell’occasione più importante, la finale di Champions contro la Juve a Manchester, ha un colpo di fortuna: Roque si fa male. Morale: siccome in 10 contro 11 senza Roque è meglio che in 11 contro 11 con Roque, il Milan vince la Coppa. Amuleto.
Sorondo (difensore centrale, uruguayano, Inter). Immaginate un omaccione alto e grosso come Polifemo, con un occhio in più di Polifemo ma un po’ più legnoso nei movimenti. Questi è Sorondo che l’Inter per 17 miliardi acquista dal Defenser Montevideo e che Cuper manda in campo 11 volte. Con lui dietro, gli attaccanti di Chievo, Brescia, Piacenza diventano tutti Romario. Il 5 maggio, in Lazio-Inter , Cuper vorrebbe sostituire Gresko, si volta, vede Sorondo: e lascia in campo Gresko. Improponibile.
Athirson (difensore sinistro, brasiliano, Juve). Quando il’1 aprile 2001 fa il suo esordio sostituendo Zidane, tutti pensano a un pesce d’aprile. Invece è vero. Moggi l’ha presentato come il nuovo Roberto Carlos: invece Athirson è solo una bufala, una delle tante rifilate da Big Luciano a Madama (vedi Blanchard, Esnaider, Carini, Markovic, O’Neil). Pippa assoluta, gioca 5 partite e riparte per il Brasile. Dolcetto o scherzetto?
Andrade (centrocampista, brasiliano, Roma). Sono passati anni dallo scudetto vinto con Falcao, la Roma cerca disperatamente il suo erede ed ecco arrivare lui. Che ha 31 anni ma da come si muove pare ne abbia 62. I tifosi lo ribattezzano subito “Er moviola”, Di Bartolomei al confronto era Mennea. Gioca 9 partite, poche perché tra una e l’altra deve tirare il fiato due settimane, e segna zero gol. Inenarrabile. Bradipo.
De La Pena (regista, spagnolo, Lazio). Arriva 22enne via Barcellona con referenze entusiastiche e tutti a gridare al miracolo: invece è la tragedia. Perchè De La Pena, per la serie “Nome omen”, si dimostra subito poco “De La” e molto “Pena”. Lento come la fame, la sua testa a palla da biliardo brilla sotto il sole romano in una tragica immobilità. Mistero buffo.
Vampeta (centrocampista, brasiliano, Inter). Forse Ronaldo ha bevuto più del solito; sta di fatto che è lui, nell’estate del Duemila, a dire a Moratti che se vuole un centrocampista coi fiocchi deve prendere Vampeta, suo compagno al Psv. Moratti sborsa 30 milioni al Corinthians e lo regala a Lippi: ma più che per la serie A lui è pronto per il campionato iracheno, dove infatti ripara (nell’Al Salmiyah) di lì a tre anni. Fumato.
Gheddafi (mezzapunta, libico, Perugia e Udinese). Terzogenito del Colonnello, ama il calcio. Così papà gli fa fare il calciatore e un giorno quel genio del male di Gaucci lo tessera per il Perugia. Sembra una barzelletta, invece è vero. Cosmi gli fa giocare 10 minuti in Perugia-Juventus 1-0; poi, in preda a una sconosciuta forma di perversione, lo porta con sè a Udine dove gli fa giocare qualche minuto contro il Cagliari. Va alla Samp ma vede solo il mare. Onirico.
Pancev (centravanti, macedone, Inter). Sorta di dr. Jeckyll e mr. Hyde del pallone, è la dimostrazione di come nel calcio valga tutto e il contrario di tutto. Perché Darko – che a 26 anni ha vinto 3 titoli jugoslavi, una Coppa dei Campioni e una Coppa Intercontinentale, è stato Scarpa d’Oro con 34 gol e secondo nel Pallone d’Oro ’91 dietro Matthaeus –, arriva all’Inter nel ’92 e da Principe si trasforma in rospo. Anzi, in ramarro, come da soprannome affibiatogli a rettifica dell’originale “cobra”. In tre stagioni, 19 partite e 3 gol. Tracollo.
Blissett (attaccante, giamaicano, Milan). Nonostante in Inghilterra l’abbiano soprannominato Luther Missitt (sbaglialo !) per la quantità e l’enormità dei gol che si divora, il bomber – si fa per dire – del Watford arriva in Italia, al Milan, acquistato da Giussy Farina nell’estate dell’83. Tornerà subito al mittente, dopo una sola rocambolesca stagione in cui riesce nell’impresa di mangiarsi gol impossibili rivalutando nientemeno che lo sciagurato Egidio, al secolo Calloni, che in confronto a Blisett era Gerd Muller. Sparafucile.
Allenatore Carlos Bianchi (argentino, Roma). Arriva in giallorosso per volere di Franco Sensi. Per dirne il genio: Santarini, il suo vice, racconta di aver fatto di tutto per impedirgli di cedere Totti alla Samp. Solo una partita supergiocata dal Pupone, che ha 20 anni, in Coppa contro l’Ajax induce Sensi a soprassedere; e di lì a poco a silurare Bianchi, che i tifosi hanno ribattezzato Mago Galbusera. Einstein.

BIDONI SQUADRA B (4-4-2, allenatore Gregorio Perez): Carini; Reiziger; West; Onyewu; Gilberto; Brncic; Ma; Hugo Maradona; Renato; Rush; Quaresma.
Carini (portiere, uruguayano, Juve, Inter e Cagliari). Scoperto nel Danubio e portato in Italia da Moggi che lo presenta come il nuovo Zamora, gioca zero partite in bianconero ma diventa un idolo dei tifosi juventini perché finisce al centro del tragicomico scambio alla pari tra Juve e Inter con Cannavaro. È l’estate del 2004. Due anni dopo, mentre Cannavaro diventa campione del mondo, lui spernacchiato passa al Real Murcia. Oggi sverna a Quito, in Ecuador. Pollastro.
Reiziger (difensore destro, olandese, Milan). Al Milan la prima infornata olandese (Van Basten-Gullit-Rijkaard) riesce benissimo, la seconda (Reiziger-Bogarde-Kluivert) decisamente no. Una delusione Kluivert, una schiappa Bogarde, una bufala lui, Reiziger, voluto da Capello per sostituire Panucci. Dieci partite (e zero gol) bastano e avanzano anche per Don Fabio, che costernato non si capacita. Insulso.
West (difensore centrale, nigeriano, Inter e Milan). Non proprio una scartina, se è vero che da titolare vince la Coppa Uefa con l’Inter di Simoni in finale contro la Lazio; ma una mina vagante sempre, come quando – sostituito – lancia la maglia in faccia a Lucescu o quando, relegato a riserva, un giorno va da Lippi e gli dice: “Stanotte in sogno Dio mi ha detto che devo giocare”. “Ah sì? – risponde Lippi –. A me invece non ha detto niente”. Oggi è sacerdote in una setta religiosa. Chissà se Dio continua a parlargli. Leggenda.
Onyewu (difensore centrale, statunitense, Milan). Di origini nigeriane, zero presenze in due stagioni al Milan, è diventato un idolo di molti tifosi per il coraggio mostrato un giorno in allenamento. Vittima di un’entrata dura di Ibrahimovic, Onyewu reagisce, lo prende per il collo e dà vita a una rissa tra Titani. Li dividono a fatica. Verdetto di no contest. Ardito.
Gilberto (difensore sinistro, brasiliano, Inter). Tra la miriade di terzini sinistri che l’Inter ingaggia, dal 96 in poi, nel vano tentativo di trovare un degno successore di Roberto Carlos, la palma del peggiore – dopo spareggio con Brechet – spetta a Gilberto, acquistato dal Cruzeiro nel gennaio 99 su consiglio (indovinate un po?) di Ronaldo. Se andate in Brasile, fermate un passante e lo portate in Italia, garantito che gioca meglio. Paranormale.
Brncic (centrocampista, croato, Cremonese, Milan, Inter e altri). Diciamolo: se l’Inter non batte ciglio nel concludere col Milan lo scambio Pirlo-Guglielminpietro e poi lo scambio Seedorf-Coco, dare Brocchi per avere Brncic sembra quasi una genialata. E però, se non fosse che il mondo è bello perché è vario, non sarebbe male se un giorno qualcuno raccontasse la vera storia della cotta nerazzurra per Brncic, uno che non si poteva neanche chiamare per nome. Criptico.
Ma (regista, cinese, Perugia). A Gaucci era andata bene con Nakata, giapponese; ci provò con Ma, cinese, ma mal gliene incolse. Il dramma si consumò subito, il giorno della presentazione, quando in sala-stampa prese posto un vecchio grasso che più che un calciatore sembrava un tenutario di bische. Giurò di avere 30 anni, ne aveva almeno 10 di più. In campo, dopo un assaggio di Coppa Italia, non arrivò mai. Splatter.
Hugo Maradona (centrocampista, argentino, Ascoli). È l’estate del 1987 quando Diego Maradona preme su Ferlaino perché aiuti l’Ascoli a ingaggiare Hugo, suo fratello più piccolo. Debutta in serie A nell’Ascoli, ma se giocasse Tonino Carino sarebbe meglio. Dieguito dice “Tranquilli, diventerà più bravo di me”, ma forse è già in preda ai fumi delle droghe. Tossico.
Renato (mezzapunta, brasiliano, Roma). In coppia con Andrade, nell’estate dell’88 sbarca a Roma Renato Portaluppi, che Liedholm ha definito “il nuovo Gullit”. Una somiglianza c’è: l’insistenza – oltre che il successo – con cui entrambi vanno a caccia di sottane. In campo però fa ridere, tant’è che all’Olimpico compare lo striscione “A’ Renato, ridacce Cochi!”. Quando un giorno dice che Giannini in Brasile giocherebbe in terza categoria, firma la sua fine. Gioca 23 partite con zero gol. Spaccone.
Rush (centravanti, gallese, Juventus). Ha la sfortuna di finire in una delle Juventus più malinconiche di sempre, quella 87-88 con Tristezza Marchesi in panchina e Magrin col 10 di Sivori sulla schiena. Lui è una leggenda vivente, 140 gol in 220 partite nel Liverpool. Tutti si aspettano che faccia scorpacciate di gol, invece fa incetta di boccali di birra nei quali affoga la depressione del pesce fuor d’acqua. Firma 7 gol in 29 partite e torna a Liverpool. Alticcio.
Quaresma (attaccante, portoghese, Inter). Per volere di Mourinho, Moratti lo acquista dal Porto per 18,6 milioni più Pelè (valutato 6). È la più grande rapina del secolo. Lui è una calamità naturale, sembra Tatì che fa la caricatura del calciatore: inciampa, incespica, perde i palloni. Miracolato.
Allenatore Gregorio Perez (uruguayano, Cagliari). Nell’estate del 96 il Milan ingaggia, dal Cagliari, l’allenatore uruguayano Tabarez e il Cagliari lo sostituisce con un altro uruguagio, Perez. È una gara a chi resiste meno: vince Perez, che il Cagliari rispedisce a Montevideo dopo 6 partite. Meteora.