Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  febbraio 03 Lunedì calendario

ALITALIA, PIÙ VICINO IL SOCIO ARABO «UN MESE PER L’ACCORDO CON ETIHAD»


[tre pezzi]

«Vedete che i risultati arrivano, quando si lavora sui dossier di casa e su quelli esteri, senza altri pensieri?». I risultati a cui Enrico Letta allude, sotto la cupola d’oro dello scintillante Emirates Palace, sono i nove accordi commerciali siglati tra Abu Dhabi e Dubai e, soprattutto, il salto di qualità nel negoziato con Etihad per il controllo di Alitalia: «Sono molto ottimista riguardo al successo di questi accordi e pieno di speranze per l’inizio di una cooperazione strategica». Mentre gli «altri pensieri», che il presidente del Consiglio allontana con eloquenti gesti delle mani, sono gli attacchi e le sollecitazioni che gli arrivano dall’Italia.
Al mattino, intervistato da Al Arabiya, Letta aveva assicurato che «la crisi è alle spalle», ma Giorgio Squinzi non condivide affatto. Per il presidente degli industriali la crescita è troppo lenta e se il premier non ci mette più coraggio, sarà meglio tornare al voto. Letta ascolta la domanda con uno sguardo che dice assieme il fastidio e il rimprovero e poi, dal Golfo, lo gela: «Ognuno faccia bene il suo mestiere, il lavoro di Confindustria è quello di far aumentare il Pil… E i dati che noi abbiamo sulla crescita sono quelli giusti». E se Romano Prodi nell’intervista al «Corriere» lo sprona a spiazzare i nemici interni con una “sortita” a effetto, senza aver paura delle controversie politiche, il capo del governo prende (con garbo) distanze anche dall’ex presidente del consiglio: «Sono concentrato sul lavoro che sto facendo qui, non ho ancora avuto il tempo di leggere i giornali...». Negli Emirati il premier è venuto a vendere il prodotto Italia e certo non gli fa piacere che gli emiri ascoltino i problemi di casa nostra. Ma dire che è «molto soddisfatto» per come sta andando la missione negli Emirati è davvero poco. Letta è visibilmente contento per la «forte partnership strategica» che è riuscito a consolidare dopo mesi di lavoro, grazie anche alla sintonia che lega Italia ed Emirati con il filo rosso dell’accordo tra l’Expo 2015 di Milano e l’Expo 2020 di Dubai.
La pietra più preziosa da infilare nel «forziere» che Letta conta di riportare a Roma mezzo pieno è per lui l’accordo con Abu Dhabi sulla compagnia di bandiera. I giornalisti vogliono sapere quali condizioni il governo italiano porrà agli sceicchi del petrolio e Letta, senza girarci troppo attorno, avverte che l’importante è ottenere il risultato: è non far sfumare, dopo Air France, anche quella che ritiene l’ultima possibilità di salvezza: «Siamo aperti e flessibili e solo fra trenta giorni, alla fine delle negoziazioni, commenterò le condizioni». E i vertici della compagnia, potranno essere rinnovati? «Confidiamo nel team di Alitalia e abbiamo fiducia nella controparte», taglia corto il premier. E poi il passaggio più politico, che suona come un appello ai sindacati e non soltanto a loro: «Il governo farà la sua parte, come sono sicuro la faranno tutti coloro che hanno voce in capitolo, per un esito positivo dell’accordo. E’ una grande occasione, penso sia fondamentale che in questo momento ognuno si assuma le proprie responsabilità». In realtà una condizione alla firma finale il premier la pone ed è la necessità che l’investimento di Etihad sia «strategico per il futuro non solo finanziario, ma anche per la partnership industriale» di Alitalia. Trenta giorni di negoziati «non stop», che Letta seguirà «con grande speranza» e le dita incrociate, perché nessuno si azzardi a compromettere in patria «l’esito positivo» delle trattative. Le pressioni e le provocazioni della politica interna lo inseguono anche qui, ma la strategia di Letta non cambia. Il premier è convinto che i frutti stiano arrivando e che presto se ne accorgeranno anche gli italiani. Squinzi? Prodi? Renzi? I sondaggi? «L’importante è fare le cose» risponde durante il cocktail con un sorriso, che dice l’apparente indifferenza verso quanti vanno seminando ostacoli sul suo cammino. «Negli Emirati ho trovato orecchie attente ad ascoltare l’Italia, un Paese che – afferma con una nota di orgoglio – è uscito dalla crisi con le sue forze e senza chiedere un euro all’Europa». Adesso siamo affidabili e il Letta-venditore di tappeti preziosi è sicuro di piazzare sul ricchissimo mercato del Golfo i pezzi migliori del pacchetto di privatizzazioni Destinazione Italia: da Poste a Enav, da Sace a Fincantieri.
Monica Guerzoni

IL PESO DEI DEBITI SULLA NUOVA ALLEANZA–
La parte più difficile inizia adesso. Nella trattativa tra Alitalia e la compagnia emiratina Etihad che potrebbe acquisirla, quella che si apre ora è la fase in cui tutte le carte saranno messe sul tavolo e non saranno fatti sconti.

Finora Etihad ha avuto accesso a tutte le carte e i conti della compagnia italiana, come neanche a Air France-Klm, che pure è seduta nel board , era stato concesso. Si è così potuta fare un’idea della situazione in cui versa Alitalia, la cui reputazione internazionale resta non buona.
Ha ragione il premier Enrico Letta a dirsi soddisfatto? Se si guarda indietro a qualche mese fa, quando tra le prospettive concrete s’era affacciata quella del fallimento, sì. Se però si accetta di guardare un po’ oltre i trionfalismi che già in altre circostanze hanno accompagnato le «svolte» di Alitalia, bisognerà mettere in conto che le condizioni che le saranno poste assomigliamo poco ai tappeti rossi.
«Nei prossimi 30 giorni - recita una nota Alitalia/Etihad - le compagnie e gli advisor stabiliranno come sviluppare una strategia comune per raggiungere gli obiettivi prefissati. La due diligence dovrà affrontare e risolvere tutti i temi che possano pregiudicare la definizione di un adeguato piano industriale, la cui completa realizzazione produrrà una redditività sostenibile per Alitalia».
Tra le righe del comunicato, e nelle parole di Letta che ha chiamato ciascuno alle «proprie responsabilità», si celano tutte le difficoltà del confronto di cui si è avuto un assaggio proprio nei giorni a ridosso del viaggio di Letta negli Emirati: prima di tutto la questione del debito pregresso che gli arabi vogliono venga ristrutturato e che mette gli azionisti-creditori Intesa Sanpaolo e Unicredit in allarme. Intanto le stesse banche non hanno permesso al premier di arrivare a Abu Dhabi con le linee di credito da 200 milioni, promesse quando fu deliberato l’aumento di capitale, già disponibili. Si è dovuto attendere la mattinata precedente alla partenza di Letta per acquisire risorse peraltro inferiori.
E poi c’è il nodo degli esuberi. Anche qui l’intento era quello di far arrivare Letta negli Emirati con in tasca la promessa della gestione di 1.900 esuberi su 14 mila dipendenti (al netto di quelli che non rientrerebbero dalla cassa integrazione). Il ministro dei Trasporti, Maurizio Lupi, aveva agevolato la soluzione rifinanziando il Fondo volo. Ma la forzatura con cui l’ad Gabriele Del Torchio ha aperto unilateralmente la procedura di mobilità ha prodotto una levata di scudi dei sindacati e il rinvio: di esuberi si parlerà a valle dell’accordo con Etihad e non a monte, nella speranza che gli arabi annuncino piani di sviluppo tali da assorbire l’intera manodopera. Altrove non è successo: Air Berlin, di cui Etihad ha acquisito il 29%, ha annunciato 15 giorni fa l’applicazione di un piano che prevede il taglio di 900 posti su circa 9 mila e non sono esclusi licenziamenti.
Più si va incontro alla stretta della trattativa, più ci si rende conto che le condizioni di Etihad non sono dissimili da quelle poste da Air France-Klm che peraltro è ancora della partita. Perché dovrebbe essere meglio allora vendere agli arabi? E questo è il terzo corno della questione, quello delle prospettive. Le difficoltà in cui si dibatte Air France-Klm si traducono in pochi soldi da investire e in una strategia, quella di tenere il business in Europa, che appare ormai perdente rispetto al rampantismo delle compagnie del Golfo. Etihad ha soldi da investire invece, il punto è capire che ruolo avrà Alitalia nel suo disegno. La strategia di Etihad è costruire un proprio network in Europa, aggirando le attuali barriere all’ingresso. Il che vuol dire acquisire il controllo di diversi hub (come sta facendo) collegarli tra loro e con il proprio hub, da cui partono gli intercontinentali.
Tale strategia ha messo in allarme Lufthansa perché ha preso avvio a Zurigo, dove Etihad ha acquisito Air Darwin facendone il proprio regional in un’area controllata dai tedeschi. Air France-Klm ha avuto la prontezza di aggregarsi al progetto emiratino per non esserne fagocitato. Può Alitalia in queste condizioni aspettarsi di recuperare un ruolo da grande compagnia europea?
Antonella Baccaro

L’EMIRO CHE SCOMMETTE SUL SALVATAGGIO–

Enrico Letta con grisaglia d’ordinanza e lo sceicco Mohammed Bin Zayed Al Nahyan seduto di fronte al premier con indosso il bianco «thob», la lunga veste che nei Paesi arabi distingue gli emiratini dagli immigrati. La sede del colloquio risolutivo sul destino di Alitalia è stata, sabato sera, il raffinatissimo ristorante libanese dell’Emirates Palace di Abu Dhabi. La suite del premier, che i collaboratori di Letta hanno definito scherzando «più grande di Palazzo Chigi», l’hanno pagata gli emiri per segnare, anche simbolicamente, il gradimento dell’ospite italiano.
La fase finale dei colloqui che hanno portato all’intesa preliminare con Etihad, dopo mesi di ammiccamenti e contatti, è stata scandita da un lentissimo rito gastronomico ai sapori di limone, menta e sesamo. Nel menu, assieme al futuro della nostra compagnia di bandiera, hummus di ceci e kebab di agnello. Il principe ereditario di Abu Dhabi, 52 anni e nove figli, ha voluto vedere Letta a quattr’occhi «come si faceva un tempo tra uomini sotto una tenda araba», tra uomini d’affari e di potere. La conversazione con lo sceicco più potente degli Emirati — fratello di Khalifa, presidente degli Eau — è filata via in inglese e i collaboratori del premier assicurano che «sintonia personale e fiducia reciproca» tra lui e l’erede al trono siano scattate subito. In sostanza lo sceicco ha chiesto a Letta rassicurazioni sulla stabilità politica del nostro Paese e ha voluto capire quanto forte potrà essere la moral suasion del premier presso gli operatori del settore.
Il principe — pilota di elicotteri e, dal 1993, comandante supremo delle forze armate degli Emirati Arabi Uniti — si è laureato nel 1979 all’accademia militare di Sandhurst per poi specializzarsi a Oxford in politica economica. Con Letta non ha conversato di calcio (il suo sport preferito è l’ippica), bensì di arte: la moglie Sheikha Salama è una mecenate, che sta acquistando in tutto il mondo opere di artisti contemporanei da esporre nelle succursali del Louvre e del Guggenheim.
Il principe ereditario, la cui famiglia ha un patrimonio stimato in 150 miliardi di dollari, ha l’Italia nel cuore, da quando negli anni Ottanta ha frequentato l’Accademia di Pozzuoli. Nel 1990 è stato insignito da Francesco Cossiga della prestigiosa onorificenza di Grande ufficiale dell’ordine al merito della Repubblica.
Ma non è certo solo la nostalgia di una terra che gli è cara il motivo che ha convinto il plenipotenziario delle politiche su petrolio ed energia a investire un fiume di denaro per salvare Alitalia. L’obiettivo dei proprietari di Etihad è fare il salto di qualità definitivo impiantando solide basi nel mercato europeo, dove gli sceicchi di Abu Dhabi hanno già messo un piede acquistando un quarto di Air Berlin. Uno scenario in cui l’Italia è vista dagli emiri come una sorta di «cavallo di Troia».
M. Gu.