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 2014  febbraio 02 Domenica calendario

FRANCESCA DELLERA – [PER FELLINI ERA UNA FATA TURCHINA…]


Ha appena finito di leggere Il lupo di Wall Street da cui è stato tratto il film con Di Caprio e le è piaciuto moltissimo «per la sincerità con cui l’autore racconta la sua vita, non tralasciando neanche i particolari più scabrosi, più autolesionisti. Mi sono rivista in quel coraggio e infatti sto scrivendo la mia autobiografia per affrontare finalmente la verità, contro le invenzioni maligne e crudeli che mi hanno aggredito lungo tutta la mia vita; come quella pazzesca di questi giorni, di chiacchiere tra camorristi in galera negli anni ’90, messe a verbale, in cui si fa il mio nome. Questi attacchi vergognosi e menzogneri alla mia riservatezza mi feriscono profondamente e ho incaricato gli avvocati di occuparsene».
I ricordi di Francesca Dellera sono altri, indimenticabili. Lei stava entrando nella casa di Giuseppe Patroni Griffi in via Margutta, Federico Fellini ne stava uscendo e fece immediato dietrofront, perché quella creatura diafana e carnale che si era materializzata davanti a lui era la femminilità che la sua fantasia aveva sempre inseguito e che aveva tentato di catturare nei suoi film: ma mai così lucente, così morbida, così accogliente. Era la Fata Turchina che cercava da qualche anno per il suo Pinocchio, che doveva essere Benigni. Poi Fellini morì prima di poter realizzare il film, mentre Benigni ce la fece, scegliendo però come magica visione l’amata moglie Nicoletta Braschi. Di quell’incantamento senza seguito è rimasta una traccia nella biografia felliniana di John Baxter, in cui il regista, elencando gli attori che amava particolarmente cita, oltre alla Masina, Mastroianni, Villaggio e Benigni, anche lei, Francesca Dellera. Nel 1988, e con la regia di Patroni Griffi, quella ragazza silenziosa, di una bellezza antica, ottocentesca, vistosa senza sfacciataggine, era diventata in una miniserie televisiva Adriana, la prostituta che trentaquattro anni prima aveva avuto il viso bellissimo e sgomento di Gina Lollobrigida, nel film in bianco e nero diretto da Luigi Zampa. La Romana è un romanzo di Alberto Moravia pubblicato nel 1947: la ventitreenne Francesca era un’Adriana incantevole, e ispirò allo scrittore, per l’Espresso, una delle sue rare interviste a un’attrice (a Sophia Loren, a Claudia Cardinale). «Non mi rendevo conto del dono che mi faceva occupandosi di me: andai due o tre volte a casa sua, e lui scriveva direttamente a macchina quel che dicevo». Il grande cinecritico Tullio Kezich si soffermò sulla «fisicità parlante» della ragazza: «Davvero Francesca sembra possedere quel qualcosa in più che hanno le figure schermiche d’eccezione: tanto a suo agio che quand’è nuda sembra vestita e quando è vestita sembra nuda».
È ancora vero. Le rare persone che, segreta e diffidente, incontra, si trovano davanti a una donna accecante di splendore, che cerca di proteggere e occultare dentro un grande scialle nero la morbidezza perlacea di un seno vero come non se ne vedono più, e un viso delicato dentro una massa di lunghi ricci rossi. Forse un largo maglione dal collo alto aiuterebbe, e forse no: e poi la sua immagine è questa da sempre, intoccata anche quando piange, pensando alla perdita di sua madre, e perché non è detto che tanta ricchezza fisica assicuri una trionfante felicità. C’è un vuoto nella sua vita privata che ha generato storie, pettegolezzi, e l’ha trasformata in una persona che sulla strada del successo si è vista prima spalancare e poi di colpo chiudere tutte le porte. Nell’era del gossip ostentato e moltiplicato, si trovano molte illazioni e sussurri, ma non una fotografia, non una notizia documentata, di quel legame che nessuno può dimostrare. È strano che di quell’uomo, della cui vita privata tumultuosa da tempo si occupa anche la giustizia, con la piccola folla di maldestre giovani ospiti a pagamento e attualmente la presenza di una fidanzata con cane entrambi impiccioni, si eviti di ricordare che un tempo questa persona era entrata prepotentemente nella vita di Francesca. È proibito anche solo accennarne, e se proprio uno è pignolo all’eccesso, può risalire a un articolo di Novella 2000 del 2009, intitolato “I dieci rospi ingoiati da Veronica”. Seguono le dieci foto di belle signore, prima tra tutte quella di Francesca. Era il 1987. Nessuno sa, se non i diretti interessati, quando quel legame è cominciato, quando è terminato: di mezzo c’è, nel 1989, un famoso Telegatto consegnato alla protagonista de La Romana, e un giornalista ricorda come il problema degli organizzatori fosse collocare lontane in platea sia la premiata che Veronica Lario, la bellissima compagna di Silvio Berlusconi, già madre di suoi tre figli, che diventerà sua moglie un anno dopo. C’è un libro di Mario Guarino, Veronica & Silvio, pubblicato da Dedalo nel 2009, che si azzarda a sostenere che la signora Lario avrebbe scoperto il tradimento dopo il matrimonio, imponendo al marito l’aut-aut, e riconquistando una sua (molto temporanea) fedeltà. Ma Francesca è decisa. «A lasciarlo sono stata io, e le cose scritte su di me in quel libro sono del tutto false». Intanto La carne di Marco Ferreri, regista osannato di film intelligenti ed eccentrici, era stato invitato a Cannes nel 1991: e la protagonista era la Dellera, che in quel ruolo, secondo il Mereghetti, “inquieta con la sua esuberante presenza”. Francesca ricorda che contro di lei c’era già un veto, che non aveva scoraggiato Ferreri: «Mi disse che a lui non importava niente, che il film l’aveva scritto su di me, venendo ogni giorno a casa mia a sentirmi parlare, a studiarmi ».
La carne, dove Castellitto, cui misero una pancia finta perché non doveva essere attraente, per non perderla l’ammazzava e se la mangiava, fece di lei una star soprattutto in Francia. Eppure passarono tre anni prima che le offrissero un altro ruolo, nel 1994, in un film di Deray non riuscito, L’orso di peluche accanto ad Alain Delon; ne passarono altri cinque prima che la chiamassero per la miniserie televisiva Nanà dal romanzo di Zola, e altri sei per arrivare in video con la costosa e grandiosa Contessa di Castiglione. Poi ci furono solo incontri tra avvocati. Da allora, e sono passati otto anni, attorno a lei si è fatto un gelido vuoto professionale. In questo silenzio amaro, che le ha interrotto la carriera, lei ravvisa una punizione cieca, una vendetta troppo lunga, un umiliante esilio. Ma è lei, Francesca Dellera, protagonista e vittima di questa specie di persecuzione o comunque cancellazione, a non pronunciare nomi, come se avesse paura, o se ne vergognasse, o si rifiutasse di ricordare, o tenesse soprattutto alla sua dignità malamente ferita. «Ero molto giovane, non avevo alcuna esperienza e poi lui non era come adesso, pareva meglio, per me era una cosa di testa, perché nella sua follia non è stupido. E io mi sono trovata preda di una situazione che non avevo cercato. Ma siccome lui era ricco e importante, si rovesciò su di me una valanga di invidia crudele. E poi la gente è meschina, e quella brutta è complessata e capace delle peggiori cattiverie». Tra l’altro a lei sono sempre piaciuti solo «i bellissimi pazzeschi a letto, e quelli cattiverie non ne fanno mai»: e non se li è fatta mancare neppure quando qualcuno ha pensato di domarla, di imprigionarla. Per esempio l’attore Christopher Lambert, un tipo, dice Francesca, «trasgressivo, libero, anarchico, che secondo Ferreri mi assomigliava e voleva girare con noi due una storia di incesto. Ma io sono dispersiva, non sono mai riuscita a far durare i rapporti, me ne stufo presto: non posso sentirmi ingabbiata, fuggo». Prince se ne era innamorato solo vedendo le sue foto, la corteggiava telefonicamente dagli Stati Uniti, affittò un cinema per vedere e rivedere da solo La carne. «Era un genio affascinante, mi offrì di fare un videoclip con lui, da girare a Minneapolis, ma lasciai perdere perché ero innamorata, ricambiata, di Adnan, un modello slavo di bellezza travolgente, e per me l’amore contava di più in quel momento della carriera». Nella sua vita è passato il tennista Noah e persino Emanuele Filiberto di Savoia che la inseguì a Los Angeles dove lei era fuggita con un altro. «Ma io non sopporto la coppia, quella che si ostina a durare quando il mistero è finito. Non credo nel matrimonio, non riesco a dire per sempre, non me la sento di avere figli anche se amo moltissimo i due bambini di mia sorella». Adesso ha un compagno di cui non parla, non italiano, specifica, e che non vive in Italia. «Odio la curiosità nei miei confronti, detesto Facebook e pure Twitter, non sopporto la mondanità, l’esibizionismo. Io sto pagando ancora un prezzo altissimo perché ho sempre voluto essere libera, non appiattirmi nelle regole di tutti. E certo da ragazza ero impreparata a un successo troppo precoce e stordente». Era giovanissima quando come protagonista di Capriccio la volle Tinto Brass, che dopo lo scandalo di La chiave era il regista più ricercato dalle attrici in cerca di fama: a venticinque anni le offrirono una cifra sproporzionata per uno spot, vollero fotografarla Helmut Newton e Annie Leibovitz, la scelsero come modella d’eccezione gli stilisti d’epoca più importanti, Gaultier, Alaia, Mugler: e per un suo compleanno a Parigi, fu organizzata una festa al “Les bains douches”, cui parteciparono le grandi star del momento. «Tutto quel successo improvviso mi ha tolto la vita. Ma adesso, dopo tanto silenzio, ho deciso di raccontarla tutta con un libro».