Ettore Livini, la Repubblica 2/2/2014, 2 febbraio 2014
L’ALLARME GRECIA NON SI SPEGNE VERTICE SEGRETO DI GERMANIA E FRANCIA
La spia dell’allarme sulla crisi greca non si è ancora spenta. La scorsa settimana, come ha rivelato il Wall Street Journal, Francia e Germania hanno tenuto un meeting segreto per fare il punto sul piano di salvataggio ellenico. Sul tavolo il nodo dei buchi di bilancio previsti per il 2014 e il 2015 - 11 miliardi per il governo di Antonis Samaras, 14 per Bruxelles - e i ritardi (sostiene la Ue) di Atene nell’implementare le riforme richieste da Ue, Bce e Fmi. La fotografia delle tensioni tra le parti è il sostanziale congelamento della concessione di nuovi aiuti alla Grecia: la Troika non ha versato la tranche di finanziamenti prevista per dicembre 2013. E non prevede nuovi esborsi – ha confermato il ministro alle finanze Yannis Stournaras – fino a marzo. Quando sotto il Partenone dovrebbero arrivare 4,9 miliardi di nuovi prestiti.
Samaras, cui da gennaio è affidata la presidenza dell’Unione, non ha voluto commentare le frizioni. La Grecia, dicono gli ambienti vicino al premier, ha chiuso il 2013 con un avanzo primario di bilancio da 830 milioni circa. Meglio di quanto richiesto dagli organismi internazionali. Si tratta però dell’unico dato positivo nel panorama economico del paese. Il Pil – dopo aver perso il 25% in quattro anni – è ancora in retromarcia, la disoccupazione è inchiodata al 27%, il reddito delle famiglie è crollato del 29% in quattro anni, gli stipendi sono stati tagliati del 35%. Un cataclisma sociale aggravato dalla sforbiciata del 26% ai sussidi per il welfare.
E’ evidente che il governo, a fronte di questo scenario, ha forti difficoltà a varare nuove misure d’austerity che rischiano di dare il colpo di grazia alla Grecia. Anche perché i suoi numeri in Parlamento sono risicati (la maggioranza è ridotta a 3 seggi) mentre la sinistra radicale anti-austerity di Syriza è in testa a tutti i sondaggi in caso di elezioni anticipate.
La Ue, non a caso, non sembra intenzionata per ora a forzare i tempi. Atene deve rimborsare bond per 9 miliardi (in tasca per ironia della sorte alle banche centrali europee) alla fine di maggio, ma è probabile che in caso di problemi arrivi un altro po’ di ossigeno da Bruxelles. Il Fondo Monetario ha suggerito di rinviare il pagamento ma da quest’orecchio la Germania (specie alla vigilia delle elezioni continentali) non vuole sentirci. Più facile che si aumenti la pressione su Samaras per il varo delle riforme strutturali chieste dall’Ocse – le liberalizzazioni in primis – per poi affrontare dopo l’estate l’Everest che tutti attendono: i negoziati per una nuova ristrutturazione del debito greco. La volta scorsa a pagare (rinunciando al 70% dei loro crediti) sono stati i privati. Oggi l’80% dell’esposizione ellenica è in portafoglio proprio alle istituzioni internazionali come Fmi, Esm e banche centrali. E in questa occasione toccherà a loro accettare una cancellazione di parte delle loro spettanze. Le conseguenze politiche di questa decisione obbligata – in un’Europa percorsa dalla vena del populismo – rischiano di far tornare a tremare di nuovo tutta l’architettura dell’euro.