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 2014  febbraio 02 Domenica calendario

LA PRIMA CREPA


SI NARRA che i “parricidi”, assassini di padri, affini, congiunti venivano chiusi in un sacco con una bestia capace di martoriarli, come un cane, una scimmia o una vipera e gettati “in mare profundum.” Enrico Letta sfaterà forse l’antica leggenda.

DOPO aver suscitato, con stile ma fermamente, le dimissioni del presidente dell’Inps Antonio Mastrapasqua, collezionista superbo e insolente di poltrone, di onori e anche di denari. Anzi, la sua rapida reazione alle notizie alquanto sconvolgenti sulle multiformi attività del suddetto capo del più grande ente previdenziale d’Europa, coinvolto con tutta la famiglia in attività di ogni genere nelle pieghe di uno Stato corrivo più che distratto, rischia di farne forse un candidato alla qualifica di statista, oggi quasi sempre usata a sproposito. Oltre che ad allentare quella di democristiano a molti carati, che rischia ormai di inseguirlo come una condanna, anche ad opera dell’altro ex democristiano, Matteo Renzi, che per ora governa il Pd con piglio decisionista.
Mastrapasqua non è il padre del presidente del Consiglio, né uno stretto congiunto diretto, ma è uno dei capisaldi di quella immensa ragnatela che dopo un ventennio di berlusconismo avvolge il paese, fatta di potenti e vice-potenti spesso senza volto, spesso sopravvalutati, quando non del tutto incapaci o gaglioffi, tessuta con sopraffina dedizione per decenni da un altro Letta: Gianni. Allo zio Gianni, Enrico, figlio di un professore di calcolo delle probabilità disinteressato al potere, è molto legato. Racconta che vari passaggi della sua vita, fin da bambino, li ha trascorsi a casa sua, dove era, ad esempio durante i giorni del rapimento Moro. Lì ha respirato di certo l’aria del potere burocratico-feudale dello zio e forse lì ha anche conosciuto Mastrapasqua, uno dei boiardi di casa, tra i più vicini al network politico-familiar-relazionale, che ha contribuito a condurre l’Italia nella crisi presente e a farne uno dei paradisi mondiali della corruzione. Non solo per gli appalti truccati, per il malaffare, per le ruberie calcolate in centinaia di miliardi, ma soprattutto per il familismo amorale che ha ridotto a un’utopia per allocchi la meritocrazia, la liberalizzazione autentica di una società incagliata in un feudalesimo, di cui Letta zio ha incarnato il comando. Mentre le semplici buone maniere ne facevano non solo l’ambasciatore beneducato di Silvio Berlusconi, ma una specie di riserva della Repubblica, apprezzata con poche riserve a destra e a sinistra e persino al Quirinale. Dove forse oggi lo avremmo presidente della Repubblica se il suo leader-padrone non avesse ecceduto nel disprezzo delle leggi, abbandonando a sé stesso un paese avviato alla crisi più grave della sua storia recente.
Mastrapasqua, intimo amico del cugino di Enrico Letta, Giampaolo, dirigente ovviamente di un’azienda berlusconiana, è in fondo l’altra faccia dei Bertolaso e dei Balducci, le facce ormai più note di quel mondo di poteri intersecati tra loro in un groviglio di interessi spesso inconfessabili: dall’Opus Dei alla Massoneria, dal Vaticano alle banche, dai Servizi segreti alla nobiltà nera, dal generone romano al peggio della finanza internazionale. E alla politica debole e malleabile da ogni tipo di interesse. Qualcuno ricorderà la frase dell’avvocato Cesare Previti, pronunciata dopo una delle elezioni che confermarono il successo di Berlusconi: «Non faremo prigionieri». Non ne fecero e riempirono i posti di vertice dello Stato, che dovrebbe ammantarsi di terzietà, di personaggi improbabili per titoli e capacità, quando non loschi.
Passati due anni dalla caduta di Berlusconi, comincia a disvelarsi nei dettagli il sistema di potere che il grande imprenditore “liberale e liberista” aveva costruito sulle macerie di uno Stato permeabile a qualunque trama. Manca ancora un censimento realistico delle gesta dei vari Bertolaso, Balducci, Maliconico che sponsorizzati dal padrone di Palazzo Chigi Gianni Letta buttarono centinaia di miliardi in appalti emergenziali, grandi eventi, celebrazioni di santi e martiri, mondiali di nuoto e quant’altro. Il tutto scavalcando Parlamento, controlli di legittimità, Corte dei conti, Ragioneria dello Stato, attraverso il sistema delle ordinanze. Il caso Mastrapasqua è significativo anche per questo: perché rivela quanto il potere burocraticofeudale sia impermeabile ad ogni forma di controllo, quando i gangli dello Stato sono nelle mani di un’alta burocrazia infiltrata dagli interessi privati, dalle sirene della carriere e dei denari.
Se il governo farà davvero quello che il presidente Letta (Enrico) ha promesso, nonostante a Palazzo Chigi sieda al posto di Letta (Gianni) il nipotino Antonio Catricalà, aspettiamoci un’epidemia di casi Mastrapasqua: patenti conflitti d’interesse, poteri senza controllo alcuno, indebiti arricchimenti, malaffare diffuso ai vertici di uno Stato feudale, crocevia di cricche di interessi senza controlli da parte di una politica compromessa e di assai esili principi etici.
Ma ora l’occasione c’è per fare sul serio: a cominciare dal rinnovo di duecento poltrone al vertice delle società controllate dal ministero del Tesoro. Basta boiardi. Primo precetto: che Letta (Gianni) che Letta (Enrico) sembra aver messo definitivamente in cantina, non ci metta bocca.
a. statera@repubblica. it