Micaela Urbano, Macro, il Messaggero 2/2/2014, 2 febbraio 2014
«IO, VIRNA LISI LA PRIMA MOGLIE»
L’INTERVISTA
«Quando hanno capito che non ero solo una bambola è iniziato il periodo più bello della mia carriera, e ci ho preso gusto». Virna Lisi ringrazia ancora Liliana Cavani che nel ’77 le offre lo scomodo ruolo di Elizabeth Nietzsche in Al di là del bene e del male. Quando poi, nel ’94, ne La Regina Margot, per diventare Caterina dei Medici si lascia stempiare e farcire di gommapiuma per sembrare grassa come un’oca, masochisticamente gode di quello storpiamento d’immagine come solo una grande attrice riesce a fare, e riceve il premio per la migliore interpretazione femminile al Festival di Cannes. «Mi ero davvero rotta le scatole che i registi dicessero: ci vuole una bella? Chiamiamo la Lisi». Per non parlare di Hollywood: «Erano personaggi insulsi, senza cervello, così ho girato i tacchi e sono rientrata in Italia».
Attualmente su Rai1, star di ascolti con la sua suora guerriera di Madre, aiutami, tra poco sul set di Latin Lover, nuovo film di Cristina Comencini, e poi su quello di Una famiglia, serie Ares per Mediaset, Virna Lisi lavora senza requie. Come sempre d’altronde. Da quando, adolescente, è protagonista dei mélo di Grottini, Pastina, Montero per poi passare a quel cinema di rango firmato da Maselli, Losey, Risi, Monicelli, Germi, Verneuil, Lizzani, Young, Kramer, Amelio, Zampa, Comencini. Con quella faccia importante, potente, intensa, solare, ha segnato la cinematografia di ieri e di oggi con la bravura e la rara dote della naturalezza. Senza divismi né fronzoli, così com’è, «tanto, se fingi, prima o poi, ti scoprono».
Per la terza volta suora ...
«Ma non ho mai pensato di prendere i voti. Dopo Nancy Pereira, la religiosa che convinse le banche indiane a dare denaro ai piccoli imprenditori - proprio come in Italia oggi! - e dopo la terribile sorella Alberta delle Ali della vita, è con passione che ho interpretato questa suor Germana. Perché l’ho vista come una donna che conduce la sua guerra privata fianco a fianco dei diseredati. È una di quelle missionarie toste, d’assalto, che vanno dove serve aiuto senza risparmiarsi. Scomoda perché non ha paura di niente e di nessuno, e ficca il naso dove non dovrebbe. È fatta di spirito, ma anche di sangue, di pelle, di ossa».
Il mistero della vocazione?
«Non posso conoscerlo. Capisco le suor Germana. Ma non comprendo le monache di clausura. Si consumano nel pregare, ma lo si può fare ovunque, in tanti modi, senza bisogno di fuggire dal mondo. Mi ricordo, ero una ragazzina, il convento vicino a dove abitavo. Non usciva né si vedeva anima viva. L’unico modo in cui comunicavo quelle suore fantasma era una ruota che ogni tanto girava. Io e le mie amiche - eravamo tremende - ci mettevamo di tutto, sassi, rami, foglie, suonavamo il campanello e aspettavamo... Ma non abbiamo mai visto nessuno. Restavano immobili, rinchiuse, lontane».
Tra poco, invece, tornerà al cinema nel ruolo di una moglie.
«La prima moglie. Latin lover è una storia al femminile, l’appuntamento che si danno amanti, figlie, amiche, mogli di un latin lover in occasione del decimo anniversario della sua morte. Una commedia, senza contorcimenti mentali, in cui torno con piacere a lavorare con Cristina Comencini».
Poi girerà “Una famiglia”.
«Ma non ne so molto. So che Teo Losito sta ancora scrivendo. Mi fido di lui e di Alberto Tarallo, basta che ricordino di darmi la sceneggiatura due mesi prima...».
Che cosa significa per lei oggi il suo mestiere?
«Se non l’avessi non so cosa farei. Mi manca mio marito, il complice di 53 anni, di tutta una vita. Ho un figlio meraviglioso, i nipoti che adoro. Ma mi manca l’uomo che mi ha sempre amato. Che amo».
Come si fa a restare belli?
«E che cosa ne so? Non ho mai dato importanza alla bellezza. Il Padre Eterno me l’ha data, e io non muovo un dito per mantenerla, non mi faccio nemmeno la pulizia del viso, figurarsi quelle punturine che vanno a ruba e che ti fanno sembrare di plastica. Meglio le rughe».
Le piace il nuovo cinema italiano?
«Il cinema dovrebbe essere lo specchio del Paese, e questa Italia è allo sbando, peggio di così non potrebbe, con i politici che dicono le stesse cose da anni, la povertà che aumenta - come si fa a vivere con 600 euro al mese? - la gente che si butta dalla finestra, le tasse che ti spremono, fra un po’ ci tasseranno anche l’aria... In questo clima anche la creatività paga lo scotto. Anche se ogni tanto escono film bellissimi, come Il capitale umano, di Virzì. Mentre mi ha infastidito La grande bellezza. Ma ti pare esista davvero una società del genere? Ciò nonostante spero che Sorrentino, che ha fatto tanto altro buon cinema, vinca l’Oscar. Glielo auguro davvero. Sarebbe una boccata di ossigeno per la cinematografia italiana».
Micaela Urbano