Danilo Taino, Corriere della Sera 2/2/2014, 2 febbraio 2014
PESSIMISTI E VECCHI SPERIAMO NELLO STATO
C’ è un problema — nel lungo periodo forse il più serio per il Paese — che gli italiani sentono istintivamente e in misura drammatica, ma sembra non lo abbiano razionalizzato. È l’invecchiamento della popolazione, un fenomeno destinato a tradursi in ristrettezze sulle pensioni, in spese sempre più alte per la Sanità e forse in tensioni generazionali. Le Nazioni Unite calcolano (revisione giugno 2013) che al 2010 gli italiani con più di 65 anni fossero il 20,8% della popolazione; e che nel 2050 saranno il 33%, uno su tre. Già oggi siamo il terzo Paese con più anziani, dopo Giappone (23%) e Germania (20,8%). A metà secolo saremo il quarto, dopo Sol Levante (36,5%), Corea del Sud se nel frattempo non si sarà fusa con quella del Nord (34,9%) e Spagna (34,5%). È una tendenza preoccupante. L’Italia però non ne discute e soprattutto non cerca di prendere contromisure. Il risultato è uno strabismo generale. Se infatti si chiede — l’ha fatto il centro di analisi americano Pew Research — se l’invecchiamento è un «problema serio» per il Paese, solo il 41% degli italiani risponde di sì, decisamente meno della metà. Nei Paesi con tendenze demografiche simili, quasi sempre è la maggioranza a rispondere che il problema è serio: 87% in Giappone, 79% in Corea del Sud, 67% in Cina, 55% in Germania, 52% in Spagna. La cosa straordinaria è che la situazione si rovescia quando si vanno a scandagliare le aspettative indi- viduali. Solo il 2% degli italiani è «molto fiducioso» di avere in età avanzata uno «standard di vita adeguato»: è la percentuale più bassa al mondo. A questa minoranza esile si aggiunge un 21% di persone che si dicono «abbastanza fiduciose» sul loro tenore di vita da anziani. La somma, 23%, ci mette comunque al penultimo posto, battuti per pessimismo solo dai russi (20%). Persino i giapponesi, al 32%, sono meno negativi. Il 37% dei francesi, il 41% degli spagnoli, il 43% dei sudcorea- tivi. Il 37% dei francesi, il 41% degli spagnoli, il 43% dei sudcorea- ni, il 55% dei britannici, il 60% dei tedeschi, il 63% degli americani, il 79% dei cinesi hanno aspettative in qualche modo positive.
L’angoscia italiana è ancora più evidente se la si vede disaggregata per fasce di età. Quel 23% medio di coloro che hanno una speranza almeno un po’ positiva per la vecchiaia diventa il 17% nella fascia tra i 18 e i 29 anni, il 16% per coloro che ne hanno tra i 30 e i 49, per poi salire al 31% per chi è cinquantenne o oltre. Il pessimismo è il risultato dell’osservazione delle proprie prospettive individuali, sia riferite alla struttura sociale e dei servizi che sostiene gli anziani, sia alle finanze personali. Il disorientamento si vede anche dalla risposta alla domanda su chi dovrebbe avere la maggiore responsabilità per il benessere degli anziani: secondo il 56% degli italiani, lo Stato, contro un 27% che pensa dovrebbero essere le famiglie o essi stessi. Negli Stati Uniti, per citare l’estremo opposto, solo il 24% pensa che dovrebbe essere lo Stato. Insomma: sentiamo drammaticamente il problema; ma incrociamo le dita sperando che lo Stato, sempre meno in grado di farlo, lo risolva.