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 2014  febbraio 02 Domenica calendario

LA STORIA DELLA BANCA CAPASSO IN 101 ANNI MAI UN BILANCIO IN ROSSO


Hsbc, la più grande banca commerciale del mondo, ha 7.200 filiali. Banca Capasso Antonio ne ha tre. Douglas Flint, il group chairman, guida 300 mila dipendenti che servono 89 milioni di clienti. Salvatore Capasso, amministratore delegato, conosce anche i parenti dei 23 impiegati e buona parte dei clienti. L’ headquarter di Hsbc è stato progettato da Norman Foster, un palazzo alto 180 metri con 47 piani. La sede di Banca Capasso ad Alife (Caserta) è una palazzina di due piani con vista sulla panetteria «da Clara». Flint guadagna 21 milioni, Capasso 81.600 euro ma ha buoni pasto da 3,08 euro. Flint lavora a Hong Kong e ha residenza a Kensington (Londra). Capasso si fa tutti i giorni in bicicletta da casa (Piedimonte Matese) ad Alife. Flint è un dipendente, Capasso è il padrone.
Tra i due abbiamo scelto di andare trovare Capasso anche se forse era più agevole arrivare a Hong Kong.
Questa banca del sud merita perché: 1) ha 101 anni di storia e 101 bilanci in utile, compreso il 2013 ; 2) il core tier 1 (parametro che misura la solidità patrimoniale) supererà anche quest’anno il 40% quando normalmente le banche devono sudare le famose sette camicie per arrivare al 10%; 3) tra i soci c’è un ex alto dirigente della Vigilanza della Banca d’Italia.
Alife è un paese di 7.600 abitanti ai piedi del Massiccio del Matese, confine tra Campania e Molise. La sede di Banca Capasso Antonio, appena ristrutturata (non da Foster), dà una sensazione di efficienza svizzera. Se entrando in banca si chiede dell’amministratore delegato a un tizio che gira in scarpe da ginnastica e magliettina grigia con stampato «I like to ride my bicycle», occhio perché è quello l’amministratore delegato.
Salvatore Capasso, 57 anni, ha più figli (sei) che filiali (tre), è un appassionato cicloturista, possiede il 40% di un istituto che il suo avo Antonio fondò, ventiquattrenne, nel 1912. Complessivamente la famiglia ha il 100%. La banca, nel suo piccolo, va bene, è sana, solida, moderna, ha una governance evoluta e un bilancio che per chiarezza e trasparenza supera parecchie colleghe quotate in Borsa. Nel 2013 la raccolta è stata di 125 milioni, 60 gli impieghi, un milione l’utile netto, patrimonio oltre i 30 milioni, crediti deteriorati sotto la media e con coperture sopra la media. Da domani la banca avrà un suo sito web. I clienti sono famiglie e piccole imprese. «La campagna — dice Salvatore Capasso — nei momenti difficili sopravvive più della città». La crisi si sente ma la terra, in effetti, non può fallire. E la criminalità? «Questo è un territorio vergine».
La banca ha radici in quest’area e spalle larghe per sostenerla. Spalle larghe costruite con una politica di continuo rafforzamento patrimoniale. Una norma dello statuto stabilisce che almeno il 40% degli utili annuali sia destinata a riserva. Ma in realtà a patrimonio va mediamente il 70%: i soci hanno sempre rinunciato ad arricchirsi con i dividendi per arricchire la banca. Pochi dividendi ma alti stipendi? No, Capasso guadagna 48 mila euro da amministratore delegato e 33.600 come consigliere. Il ticket restaurant per i più alti in grado (1 dirigente e 4 quadri) è 3,08 euro che a Hong Kong ci paghi sì e no il coperto ma «da Clara» è sufficiente per un pasto leggero.
Detto questo, chi sono i fratelli Ferdinando (50 anni) e Domenico (53) Parente che hanno il 36% del capitale? Sono cugini di Salvatore e figli di una Capasso che sposò il beneventano Parente trasferitosi a Roma a lavorare come bibliotecario. I due figli hanno vissuto e studiato nella capitale. Ferdinando è entrato per concorso in Banca d’Italia poi ha fatto carriera fino a diventare responsabile della Vigilanza a Milano. È in quel momento che eredita con il fratello il 36% della banca. Nasce un potenziale conflitto di interessi. Ferdinando si consulta con i vertici di Via Nazionale: non c’è soluzione. E lui tra Banca d’Italia e Banca Capasso sceglie Banca Capasso. Oggi è consulente d’azienda, consigliere di Banca Sella e docente alla Liuc di Castellanza (Va). Lui i biglietti da visita li ha. Il cugino di Alife, amministratore delegato, no: «Che me ne faccio? Mi conoscono tutti!».