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 2014  febbraio 02 Domenica calendario

LA CORSA ALL’ORO NERO DELL’ADRIATICO CROATI, UNGHERESI E L’OMBRA DI PUTIN


La corsa all’oro (nero) è cominciata a settembre. Le cannonate vanno al ritmo d’una decina al giorno. Cannonate sismiche. Onde sonore da 300 decibel, più assordanti di due Boeing che decollano insieme. Quando la nave ricerca norvegese Northern Explorer s’è messa a tirarle sul fondo dell’Adriatico orientale – si chiama registrazione sottomarina tridimensionale: le cannonate rimbalzano, l’eco rivela se c’è e dov’è il petrolio -, in Italia non ci ha fatto caso quasi nessuno. Sott’acqua, se ne sono accorti tutti e subito: i capodogli, scappati oltre lo Jonio; i delfini, sette spiaggiati in un mese fra Jesolo e l’Abruzzo; la fauna rara d’un mare già mezzo morto, le tartarughe marine e le stenelle, i tursiopi e le balenottere, i grampi e le foche monache. «Tutti spariti — protestano i biologi marini del Blue World Institute di Lussino —, terrorizzati e talvolta uccisi da un inquinamento acustico che li fa impazzire». Chi va per mare ogni tanto la incrocia, la cannoniera norvegese della società Spectrum, ingaggiata per 12 milioni al mese dal governo croato: scafo rosso, fumaioli bianchi, la navigazione lenta e attenta dei più bravi al mondo a succhiare — come lo chiamava Antun Bonifacic, lo scrittore del Quarnero che negli anni Trenta narrava già la sete di petrolio della sua gente — «il sangue nero della Madre Terra».
Cerca e ricerca, i croati l’hanno trovato. Nel loro Adriatico. Un giacimento enorme di 12 mila chilometri quadrati, s’è lasciato scappare cinque giorni fa il ministro degli Esteri di Zagabria, Ivan Vrdoljar: «Una piccola Norvegia di gas a Nord e di petrolio a Sud che può fare di noi un gigante energetico dell’Europa», una riserva di quasi tre miliardi di barili (la Norvegia, ventesimo produttore mondiale, ne ha poco più del doppio) che può valere centinaia di miliardi di dollari e almeno tre punti percentuali di Pil. Petrolio più facile da pescare che in Brasile o in Africa, dicono i croati, perché l’Adriatico è basso e bastano una ventina di piattaforme dall’Istria alla Dalmazia: «L’Italia ne ha 180 ed estrae comunque meno di quel che potremmo fare noi». «È ancora presto per parlare di quantità — sono più cauti i cercatori norvegesi —, ma senza dubbio si tratta d’un fondale molto attraente per i grandi marchi petroliferi». Dall’Exxon Mobil all’Eni, passando per francesi e inglesi, una ventina di compagnie s’è già messa in lista d’attesa. Ultimo entrato in Europa e afflitto da un debito estero di 50 miliardi, da cinque anni di recessione e da una disoccupazione al 18 per cento, il governo di Zagabria non è in grado d’estrarre da solo e ha fretta di vendere già la pelle dell’orso, fissando prezzi e superfici delle concessioni: sempre che il petrolio ci sia, e sia così tanto, ci vorrà comunque un decennio prima che le trivelle vadano a pieno regime.
Mare nero, invidia blu. Una nuova guerra (economica) di Croazia rischia d’esplodere: un po’ per paure fondate, un po’ per i nuovi equilibri politici dell’area. Alla commissione Ambiente del Parlamento europeo, un deputato del Pd italiano ha presentato un’interrogazione sulla pericolosità per le specie animali» dei metodi di ricerca impiegati. E siccome i giacimenti maggiori sono a Sud, anche il vicino Montenegro vuole riaprire con Zagabria la questione dei confini marittimi, mai del tutto definiti. Diverse organizzazioni ecologiste, poi, chiedono un intervento urgente dell’Ue: da maggio ci sono severe regole internazionali, adottate dopo le falle nel Golfo del Messico, che obbligano a dimostrare la copertura assicurativa d’eventuali disastri ambientali. La grana più grossa riguarda comunque l’Ina, la società petrolifera croata fondata mezzo secolo fa da Tito: il 25 per cento è stato venduto anni fa all’ungherese Mol, ma la magistratura di Zagabria adesso chiede a Budapest d’arrestarne il presidente, accusato d’aver pagato tangenti all’ex premier croato Sanader. Tanta foga irrita il governo ungherese, ora che spunta il tesoro adriatico, e nelle ultime settimane ha portato a una crisi diplomatica fra i due Paesi, con una visita di Stato cancellata. Tanto offendersi degli ungheresi insospettisce i croati: dietro la Mol, dicono, ci sono i russi di Gazprom. E dietro Gazprom, c’è Putin: farlo affacciare sull’Adriatico, non piace a nessuno.