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 2014  febbraio 02 Domenica calendario

SCOPERTO IL GHOST WRITER DI SALGARI


«Ne avremo ancora per due ore». «Tutt’altro, amico mio. L’alta marea non si farà troppo aspettare». I prigionieri delle Pampas, romanzo di Emilio Salgari pubblicato postumo, nel 1930, dall’editore fiorentino Bemporad, si apre con un dialogo. È lo stile del padre dell’avventura italiana, che proietta subito il lettore nell’azione. Mari, battaglie, animali e viaggi fantastici, tutto a buon mercato con le pagine di un libro. Peccato che di queste Pampas Salgari non abbia scritto mai. O meglio abbia lasciato soltanto la traccia di una trama, come è accaduto in altri romanzi pubblicati postumi. A prestargli penna e fantasia, nelle duecento pagine del libro, è stato un giornalista di origine vercellese, Mario Casalino, che avrebbe messo mano anche a un altro romanzo postumo salgariano, I cannibali dell’Oceano Pacifico, pubblicato nel 1931. A scoprire il ghost writer del padre del Corsaro Nero, penna duttile, traduttore di saggi e di poesia, è stato il giovane studioso veneto Maurizio Sartor.
L’editore Bemporad, tra il 1920 e il 1934, pubblicò dodici volumi che sì indicavano in copertina il nome di Emilio Salgari, ma sul frontespizio aggiungevano che il libro era «tratto da trama lasciata dall’Autore e pubblicato sotto la direzione di Nadir Salgari», il maggiore dei figli di Emilio. D’altra parte, il successo dei romanzi di Salgari era tale che l’editore fiorentino, già prima che terminasse il 1911, anno del suicidio dello scrittore, aveva pubblicato due romanzi del ciclo di Sandokan (Il bramino dell’Assam e La caduta di un impero) in realtà ricavati da un manoscritto solo. Le trame lasciate da Salgari erano di poche cartelle, stava poi ai ghost writer adattarsi al suo stile e rinunciare a comparire pur ricevere il compenso del contratto. Casalino, però, dice Sartor, citava nei suoi romanzi nomi di pianeti, cosa che Emilio Salgari non aveva fatto mai. Il ghost writer più prolifico fu comunque il torinese Giovanni Bertinetti, tanto abile da trarre in inganno, prima che la questione dei «falsi» diventasse pubblica, anche uno storico come Giovanni Spadolini.
Del vercellese Mario Casalino si è occupato un altro esperto salgariano, Felice Pozzo, ricostruendone almeno in parte la figura. Casalino, che ha annoverato tra le sue collaborazioni Fiera Letteraria, Illustrazione Italiana e anche La Stampa, fu un abile traduttore. A lui si deve, ad esempio, la prima versione italiana di Emma di Jane Austen, pubblicata nel 1945, ben 130 anni dopo il romanzo originale. Nella sua città invece, racconta Pozzo, il giornalista lavorò alla Vercelli nobilissima di quell’Eugenio Treves che collaborò con Palazzi al Nuovissimo Dizionario della lingua italiana.
I «falsi» salgariani continuarono anche negli Anni 40, ma mentre Bemporad pretendeva che gli autori si adeguassero allo stile, altri editori non ne curarono affatto, rispettando poco o nulla di Salgari e delle generazioni di ragazzini che sono cresciuti con il Corsaro nero.
«Ne avremo ancora per due ore». «Tutt’altro, amico mio. L’alta marea non si farà troppo aspettare». I prigionieri delle Pampas, romanzo di Emilio Salgari pubblicato postumo, nel 1930, dall’editore fiorentino Bemporad, si apre con un dialogo. È lo stile del padre dell’avventura italiana, che proietta subito il lettore nell’azione. Mari, battaglie, animali e viaggi fantastici, tutto a buon mercato con le pagine di un libro. Peccato che di queste Pampas Salgari non abbia scritto mai. O meglio abbia lasciato soltanto la traccia di una trama, come è accaduto in altri romanzi pubblicati postumi. A prestargli penna e fantasia, nelle duecento pagine del libro, è stato un giornalista di origine vercellese, Mario Casalino, che avrebbe messo mano anche a un altro romanzo postumo salgariano, I cannibali dell’Oceano Pacifico, pubblicato nel 1931. A scoprire il ghost writer del padre del Corsaro Nero, penna duttile, traduttore di saggi e di poesia, è stato il giovane studioso veneto Maurizio Sartor.
L’editore Bemporad, tra il 1920 e il 1934, pubblicò dodici volumi che sì indicavano in copertina il nome di Emilio Salgari, ma sul frontespizio aggiungevano che il libro era «tratto da trama lasciata dall’Autore e pubblicato sotto la direzione di Nadir Salgari», il maggiore dei figli di Emilio. D’altra parte, il successo dei romanzi di Salgari era tale che l’editore fiorentino, già prima che terminasse il 1911, anno del suicidio dello scrittore, aveva pubblicato due romanzi del ciclo di Sandokan (Il bramino dell’Assam e La caduta di un impero) in realtà ricavati da un manoscritto solo. Le trame lasciate da Salgari erano di poche cartelle, stava poi ai ghost writer adattarsi al suo stile e rinunciare a comparire pur ricevere il compenso del contratto. Casalino, però, dice Sartor, citava nei suoi romanzi nomi di pianeti, cosa che Emilio Salgari non aveva fatto mai. Il ghost writer più prolifico fu comunque il torinese Giovanni Bertinetti, tanto abile da trarre in inganno, prima che la questione dei «falsi» diventasse pubblica, anche uno storico come Giovanni Spadolini.
Del vercellese Mario Casalino si è occupato un altro esperto salgariano, Felice Pozzo, ricostruendone almeno in parte la figura. Casalino, che ha annoverato tra le sue collaborazioni Fiera Letteraria, Illustrazione Italiana e anche La Stampa, fu un abile traduttore. A lui si deve, ad esempio, la prima versione italiana di Emma di Jane Austen, pubblicata nel 1945, ben 130 anni dopo il romanzo originale. Nella sua città invece, racconta Pozzo, il giornalista lavorò alla Vercelli nobilissima di quell’Eugenio Treves che collaborò con Palazzi al Nuovissimo Dizionario della lingua italiana.
I «falsi» salgariani continuarono anche negli Anni 40, ma mentre Bemporad pretendeva che gli autori si adeguassero allo stile, altri editori non ne curarono affatto, rispettando poco o nulla di Salgari e delle generazioni di ragazzini che sono cresciuti con il Corsaro nero.