Francesco Rigatelli, La Stampa 2/2/2014, 2 febbraio 2014
SOTTO IL VELO, LA TEHERAN RIBELLE
Si spengono le luci dell’aereo. Al riaccendersi per l’atterraggio a Teheran le ragazze sono velate. Gli stessi capelli liberi fino a poco prima vengono celati da foulard a fiori, con i loghi di case di moda parigine, mai semplicemente neri come succede nelle periferie iraniane, e tenuti un po’ indietro, come sciarpe tenute larghe per coprirsi dalla neve che scende fuori dalla cabina. Da Torino a Teheran andata e ritorno, questo è un viaggio alla ricerca della vita giovanile nel paese proibito. Nella capitale, come a Esfahan e Shiraz, non ci sono solo gli iraniani che viaggiano, ma emerge ovunque la virtù dell’Iran: l’ospitalità di un popolo indoeuropeo, non arabo, multireligioso e ansioso di riaprirsi al mondo.
Al ristorante Gilac una delle gemme della capitale, il suo nome Shokoufeh significa fiore di primavera, racconta il dramma quotidiano visto da una studentessa: «In pubblico bisogna coprire parte del capo, niente baci, fumo, alcol, né uscire tra ragazze la sera, zero discoteche. L’unica regola che non mi dispiace è che sui mezzi pubblici uomini e donne devono sedersi separati: si evitano certi farfalloni!».
Un’altra ragazza, Pantea, rivela la doppiezza della situazione: «In casa non portiamo il velo, ma nei film le attrici sono obbligate a indossarlo anche nelle scene di interni. Ormai è una questione di facciata per mantenere la Repubblica islamica sovrapponendo fede e politica. Solo le famiglie integraliste non permettono ai giovani di comportarsi liberamente». L’insofferenza delle nuove iraniane nei confronti di questa doppiezza la esemplifica una ragazza dal di dietro poco coperto come il capo, che mangiando datteri e yogurt all’hotel Laleh svela: «La rivoluzione la faremo noi donne portando il velo sempre più indietro, il maglione meno a coprire il fondoschiena e i pantaloni più attillati».
Per intanto a sorvegliare la popolazione ci pensa la polizia islamica, braccio armato della teocrazia che regna sull’Iran occupando tutte le cariche pubbliche. In realtà i controlli si sono ammorbiditi e la reale difficoltà è superare l’impasse tra la parte evoluta quanto minoritaria della società e quella integralista. Perché se i ragazzi di Teheran nord hanno il diritto di fare feste di nascosto a volte si dimenticano pure da dove vengono per fuggire dal recente passato e sposare lo stile di vita occidentale, eccessi compresi. Così i giovani sciiti, cui non si può negare di coltivare lo spirito, possono risultare esagerati e inconsapevoli della raffinatezza persiana precedente lo stato islamico. Da un lato e dall’altro, insomma, il rischio è di buttare via pezzi di storia millenaria che pure dovrebbero regalare alla nazione un senso.
A tenere insieme i cocci ci prova il presidente attuale Rohani, emanazione moderata della casta dei mullah sciiti, per qualcuno un riformatore, per altri il volto presentabile della guida suprema Khamenei (che vive blindato in una villa a Teheran nord). «Almeno ci fa recuperare le figuracce del predecessore Ahmadinejad. Voi avete Berlusconi, noi ne abbiamo cento che occupano lo Stato, si tengono i soldi del petrolio e delle offerte religiose e se li spartiscono tra loro», riflette il giovane Mohsen che lavora al Museo del cinema a Teheran nord.
Poco distante ci sono le montagne, ancora più centrali che a Torino, e partono gli impianti sciistici. Scendendo a sud Teheran appare infinita, trafficata, inquinata come solo le megalopoli cinesi. «Due città che non si parlano, due modi di vivere - racconta Shokoufeh -. A nord i cosmopoliti che parlano inglese, accedono all’informazione internazionale con Internet e parabolica, a sud i ceti poveri suggestionabili dalla propaganda politico-religiosa. Al Bazar, che non sta neanche troppo a sud, vado solo accompagnata dai genitori».
Qui la gente compra merci locali, non come nei centri commerciali a nord. Ma l’Occidente ha sfondato lo stesso. Nella voglia di tecnologie, soprattutto asiatiche per via dell’embargo dall’America, come nel desiderio di colori sotto i vestiti e nel privato. Impressionanti i toni sgargianti di reggiseni, mutande, calze, asciugamani nei negozi. Come colorati sono i vestiti dei bambini, a differenza di quelli cupi degli adulti, quasi che la speranza riponga su di loro.