Mattia Feltri, La Stampa 2/2/2014, 2 febbraio 2014
IL COLLEZIONISTA DI POLTRONE CHE TENNE TESTA ALLA FORNERO
L’infelice parabola di Antonio Mastrapasqua è compresa fra due date: 2008, quando diventò boiardo di Stato al tempo in cui i boiardi di Stato avevano perduto molto del loro strapotere, soprattutto economico, e 2014, età matura dell’antipolitica tumultuosa. Ci sono stati articoli straripanti indignazione per il reddito da un milione e due risalente al 2010, e la contabilità attorno al magnifico cumulo di cariche dell’ormai ex presidente dell’Inps cambiava di giorno in giorno, in base a chi sollevava il problema.
Nel dicembre del 2011, Elio Lannutti, parlamentare dell’Italia dei Valori, stese un’interrogazione al ministro competente per ottenere delucidazioni sulle venticinque poltrone alternativamente scaldate dal manager. Alcune inchieste giornalistiche ne conteggiavano trenta o più, altre una ventina, ma il succo era quello. Mastrapasqua resistette a tutto, anche agli scontri con Elsa Fornero, con cui si accapigliò per la faccenda degli esodati. «Avevo proposto di modificare il modello di guida dell’istituto» (che attribuiva a Mastrapasqua la pienezza dei poteri in solitaria), ha detto qualche giorno fa alla Stampa l’ex ministro del Lavoro, «ma ho incontrato resistenze politiche». Ora Mastrapasqua cede su un’inchiesta appena abbozzata che gli sta addosso a meraviglia, come un abito di sartoria: e cioè un’inchiesta sui crediti inesigibili trasferiti all’Inps (che presiedeva) dall’Ospedale israelitico di Roma (di cui è direttore generale). Vietato impegnarsi in bagatelle garantiste: prevale il senso dell’opportunità.
Poi si sa come vanno le cose: in momenti come questi salta fuori di tutto. Non soltanto la falsificazione delle cartelle cliniche dell’Israelitico, con ricoveri incongrui e dimissioni fantasiose, secondo le tesi dei carabinieri, ma anche la falsificazione del libretto universitario. Il quotidiano Libero ha scoperto che Mastrapasqua fu condannato perché si era attribuito da sé l’ottima valutazione in un paio d’esami, senza che alla Sapienza nessuno se ne rendesse conto (più avanti si è laureato in Economia aziendale con lo statino finalmente regolare). Intanto – non bastasse – giunge notizia dalla Regione Lazio della scomparsa di un paio di faldoni si dice contenti le prove del magheggio contabile dell’Israelitico. In questo irresistibile sovrapporsi di addebiti, ci è voluta una decisione laser del governo, l’altro giorno, a stabilire l’incompatibilità fra le posizioni di vertice in enti pubblici nazionali con qualsiasi altra carica.
E così Mastrapasqua è stato infine sanzionato per quello che in gergo calcistico si definirebbe un fallo di confusione (in attesa che dalle indagini si sappia qualcosa di più preciso). Lui si è inutilmente difeso sostenendo che gli altri ruoli, in Equitalia e Idea Fimit, discendono da quello all’Inps; e tutti gli altri li ha ricoperti, non contemporaneamente, nel corso di quindici anni di lavoro. Poi ci sono i collegi sindacali (da Autostrade a Coni) in cui siede per via dei clienti del suo studio di commercialista. Ma l’elenco è talmente lungo – specie se assommato alla ventina di cariche della moglie – da risultare esilarante: impossibile scamparla. E nonostante Mastrapasqua non sia tipo da vita piaciona. Non si fa fotografare nell’atto di infilarsi in bocca una mozzarella da due etti, lo si è visto a Cortina a un dibattito con Stefano Rodotà, al massimo alla festa di compleanno di Renata Polverini - quando era presidente della Regione - in compagnia di Mogol, Renato Brunetta, Marco Muller, Franco Califano e il patron della Lazio, Claudio Lotito.
Era membro di casta, piuttosto, per quelle notizie ottime per alimentare il grillismo che è in noi. I controlli a tappeto sugli invalidi veri per rintracciare quelli falsi, oppure i suicidi degli anziani alla scoperta che la loro pensione era stata ricalcolata, e cioè ridotta: un’ottantaquattrenne di Riccione che si gettò sotto il treno, un settantatreenne di Bari che si buttò dalla finestra. Una certezza ora l’abbiamo: Mastrapasqua ha un impiego in meno.