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 2014  febbraio 01 Sabato calendario

UN CARO RIMPATRIO


A una settimana dall’approvazione del decreto legge sulla voluntary disclosure, ossia sulla volontaria collaborazione con il fisco italiano per mettere in regola i fondi detenuti all’estero, i professionisti devono aiutare i clienti a fare un primo conteggio di cosa comporta la nuova procedura. Anche perchè già dalla prossima settimana l’Agenzia delle entrate metterà online i modelli per dichiarare i capitali detenuti illegalmente all’estero. «Saranno molto ampi e prevedono la possibilità di aderire sia per i contribuenti che hanno solo un investimento sia per quelli che hanno più investimenti», ha spiegato Attilio Befera, direttore dell’Agenzia delle entrate per il quale «ci potranno essere casi limite ma non c’è da applicare nessuno sconto se non quello previsto per legge». Quanto al contraddittorio, ha spiegato, sarà «più una fase di chiarimento sulle motivazioni o sulle operazioni fatte per portare fuori il capitale». Secondo Befera «ci sono segnali interessanti di voglia di rientrare», sottolineando che «l’impegno è rilevante per l’Agenzia, è previsto un rafforzamento delle strutture per far fronte a questi nuovi impegni. Il costo non è piccolissimo, non è un condono, non può e non deve essere un condono. Il rientro dei capitali ci sarà e sarà importante anche se i costi sono quelli ordinari». D’altra parte la voluntary disclosure, possibile fino al 30 settembre 2015 e applicabile alle violazioni commesse fino al 31 dicembre 2013, sembra sempre più una strada quasi obbligata per chi ha depositato negli anni scorsi soldi in conti esteri oppure ha acquistato immobili sempre all’estero senza mai dichiararli al Fisco. «Oggi non ci sono più molte scelte per chi ha capitali detenuti illegalmente all’estero», dice Alessandro Dragonetti, responsabile area tax dello Studio Bernoni Grant Thornton, «forse non tutti l’hanno ancora capito, ma chi non si mette in regola con il fisco italiano rischia veramente di perdere tutto il patrimonio, tra tasse e sanzioni».

La lotta ai paradisi fiscali è iniziata da tempo, ma ha avuto una accelerazione dopo la crisi finanziaria che ha comportato non poche tensioni per i bilanci pubblici dei principali Paesi occidentali. E gli Stati alla ricerca di fondi saranno sempre meno teneri per chi cela tesori o tesoretti oltre confine. Ora si dà la possibilità di un ravvedimento prima che ci sia un ulteriore stretta normativa. Lo stesso primo ministro Enrico Letta ha annunciato che a breve sarà approvato un nuovo decreto che introdurrà il reato di auto riciclaggio, finora non previsto dal nostro ordinamento. «Credo che si tratti proprio di un’ultima chiamata. Peraltro se a essere interessato è un imprenditore può essere anche l’occasione di mettere anche ordine nella struttura proprietaria delle proprie società, affrontando sia il tema della disclosure del proprio patrimonio privato sia i temi legati all’azienda con l’Agenzia delle entrate», dice Antonio Tomassini, partner responsabile del dipartimento tax italiano dello studio legale internazionale Dla Piper. Agenzia che dovrebbe andare incontro a chi sceglie la strada della collaborazione volontaria. Sottolinea Cesare Vento, partner del dipartimento di wealth & trust di Gianni, Origoni, Grippo, Cappelli & partners: «È importante sottolineare che questo provvedimento si inquadra in un contesto politico internazionale, supportato dal G20, volto da un lato a combattere fenomeni di evasione internazionale aggressiva attraverso lo scambio automatico di informazioni, dall’altro ad incoraggiare i contribuenti non in regola a sanare la situazione prima che si arrivi allo scambio automatico, offrendo un regime premiale temporaneo. Su questo secondo aspetto esiste un rapporto dell’Ocse del 2010 che delinea i principi di fondo ai quali i singoli Paesi dovrebbero attenersi nell’introdurre nelle proprie legislazioni nazionali un efficace programma di collaborazione volontaria. Nel rapporto si sottolinea anche come il programma debba essere congegnato in modo che i contribuenti che aderiscono, una volta pagati gli oneri dovuti, non abbiano poi ulteriori penalizzazioni». Se questa è l’idea alla base del provvedimento, la stessa Agenzia delle entrate andrà incontro a chi aderisce. Detto questo lo scudo penale della voluntary disclosure non riguarda tutti i reati tributari e non tributari e questo elemento andrà quindi tenuto presente quando si valuta l’avvio della procedura.«La copertura penale non è integrale perché opera soltanto rispetto ad alcune fattispecie», sottolinea Dragonetti, «ci sono alcune violazioni di carattere non tributario che non vengono citate dalla normativa e questo desta una certa preoccupazione tra i soggetti interessati al provvedimento». Tra i dubbi dei potenziali interessanti uno dei temi più rilevanti è proprio quello delle conseguenze penali. La norma esclude la punibilità solo nel caso di omessa e infedele dichiarazione e non nel caso di altri reati quale la frode fiscale mediante falsa fatturazione. Per questi altri casi il decreto prevede il dimezzamento delle pene previste e non lo scudo.

«Non è sempre nitido il confine tra il reato di dichiarazione infedele (che è coperta dallo scudo penale) e quello di dichiarazione fraudolenta non coperta invece nel caso di voluntary disclosure», ricorda Tomassini. Che sembra però sempre più una strada obbligata. Sottolinea Giovanni Bandera dello studio Pedersoli e Associati: «Non si può avere una certezza riguardo ai tempi, ma è sicuro che lo scambio di informazioni tra Paesi sarà potenziato e questo renderà più facile accertare la presenza di fondi all’estero». Conferma Vento: «È assolutamente verosimile che si arriverà allo scambio automatico di informazioni, Svizzera inclusa. Gli Stati Uniti hanno aperto la strada, e gli altri Paesi si sono accodati. Una volta che lo scambio automatico sarà a regime, lo Stato sarà in condizione di verificare periodicamente e in via generalizzata chi sono i contribuenti italiani che hanno conti all’estero e se li hanno dichiarati nel quadro RW».

Se allora la motivazione a imboccare la strada del ravvedimento è alta, resta però il desiderio di chi è interessato di avere prima la possibilità di valutare l’operazione prima di avviare la procedura. Come ricorda Bandera: «Nel decreto non è prevista la possibilità che, attraverso un professionista, si avvii una fase preliminare anonima, ma è richiesto invece che l’istanza venga presentata dal contribuente. Sarebbe importante rendere possibile un sondaggio preventivo che il professionista possa fare con l’Agenzia delle entrate prima dell’autodenuncia volontaria che comporta la perdita dell’anonimato». Finora nei primi casi pilota di voluntary questa possibilità c’è stata. «È probabile che ci sarà anche d’ora in poi proprio nell’idea di una collaborazione anche con i professionisti che seguiranno i clienti», dice Tomassini.

Sarà poi fondamentale che ci sia un’interpretazione unica e valida per tutti gli uffici dell’Agenzia delle entrate sulle modalità di presentazione dell’istanza e sulle procedure da seguire. «Il fatto che ci sia un orientamento comune è importante perché ci possono poi essere molte tecnicalità da chiarire per ogni singola pratica», dice Bandera. Di fatto poi nelle operazioni possono essere coinvolti altri soggetti per i quali non valgono invece le tutele previste per chi presenta la dichiarazione volontaria. «C’è poi il problema del possibile coinvolgimento di soggetti terzi nel momento in cui si deve spiegare come si è arrivati ad avere fondi non dichiarati all’estero», dice Bandera. Un caso può essere quello della falsa fatturazione che coinvolge due soggetti, se uno fa la voluntary disclosure e dichiara di aver emesso false fatture coinvolge anche chi ha ricevuto quelle false fatture.

Certo bisogna fare il calcolo di quanto costa ravvedersi. E in molti casi potrebbe essere molto costoso. Ecco perché il costo dell’operazione rappresenta uno degli aspetti che, accanto ai profili penali, preoccupa di più i cittadini. Se le somme depositate all’estero sono frutto di eredità o di depositi fatti prima dei periodi accertabili il conto da pagare è molto ragionevole e consiste nella tassazione sui proventi finanziari non dichiarati e sulla sanzione per omessa dichiarazione. «Quello che appare chiaro è che conviene a quelle persone che hanno capitali vecchi, quindi non derivanti da materia imponibile recente. Mentre negli altri casi va verificato il costo complessivo dell’operazione», dice Tomassini. Per esempio un professionista che dopo il 2005 abbia portato 100 mila euro in Svizzera dovrà pagare una sanzione di 1000 euro (grazie allo sconto previsto dalla voluntary disclosure) per quanto riguarda l’omessa dichiarazione. Ma se questi soldi sono frutto di attività in nero dovrà anche pagare l’Irpef evasa che si può stimare intorno ai 43 mila euro. E poi la sanzione che parte dal 100% di quanto dovuto (quindi altri 43 mila euro), ma può scendere se si ottengono gli sconti di un accertamento con adesione. In totale il professionista si troverà a versare poco più di 50 mila euro, quindi oltre il 50% di quanto deteneva all’estero. Peraltro è importante ricordare che per i capitali detenuti nei Paesi black list (Svizzera compresa) e non dichiarati vige la presunzione di detenzione per evasione di imposta. Starà quindi al contribuente dimostrare che non è così.

«Chi ha accumulato capitali negli anni recenti, senza essere allarmisti ma minimo il 50% tra imposte e sanzioni lo lascia sul tavolo», conferma Dragonetti, «non è poco, ma le alternative costano ancora di più». Anche perché, oltre alla voluntary disclosure è atteso per maggio l’accordo fiscale tra Italia e Svizzera dopo le intese bilaterali siglate dalla Confederazione e l’Austria, il Regno Unito e gli Usa.