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 2014  febbraio 01 Sabato calendario

IL GIUDICE: HO FIGLI ANCH’IO, È STATA UNA CONDANNA SOFFERTA


FIRENZE - «Mi sento liberato perché il momento della decisione è il più difficile. Ho anche io dei figli e infliggere condanne da 25 e 28 anni a due ragazzi è una cosa emotivamente molto forte».
Alle 10 del giorno dopo il giudice Alessandro Nencini è nel suo ufficio. Il presidente della Corte d’assise d’appello di Firenze che due sere fa ha ritenuto Amanda Knox e Raffaele Sollecito colpevoli dell’omicidio di Meredith Kercher è consapevole che «la sentenza aprirà un nuovo dibattito, soprattutto mediatico», ma proprio per questo accetta di spiegare come si è arrivati al verdetto.
Siete stati dodici ore in camera di consiglio. Il collegio era diviso?
«Gli atti di questo processo occupano mezza stanza, ci sono 30 perizie. I giudici popolari, che non sono addetti ai lavori, dovevano prendere cognizione del fascicolo per arrivare a una decisione condivisa, come deve essere quella di una Corte d’Assise. Bisogna esaminare i documenti, ragionarci sopra. Lo abbiamo fatto prendendoci tutto il tempo necessario tenendo conto che anche la vittima era una ragazza».
E poi avete raggiunto l’unanimità?
«Ho parlato di decisione condivisa. Posso dire che in tutti questi mesi e in particolare al momento dell’ultima riunione abbiamo avvertito la gravità di una sentenza che coinvolge ragazzi persone giovani e intere famiglie. Questa è una vicenda che ha stravolto molte vite».
Il vostro era un sentiero stretto, la Cassazione aveva sollecitato a «porre rimedio» rispetto alla sentenza di secondo grado che a Perugia aveva assolto i due imputati.
«Non è così, noi avevamo massima agibilità. Il vincolo era solo che in caso di assoluzione avremmo dovuto motivare in maniera logica. Non c’era alcun paletto».
Neanche rispetto alla sentenza emessa nei confronti di Rudy Guede?
«Effettivamente la particolarità del processo era proprio questa: una persona già condannata con rito abbreviato e in via definitiva per concorso nello stesso omicidio. La Cassazione ci chiedeva di valutare il ruolo dei concorrenti. Noi avremmo potuto dire che non erano i due imputati, motivandolo in maniera convincente. Ma non abbiamo ritenuto fosse questa la verità».
Perché avete deciso di non interrogare Guede?
«A che pro? Lui non ha mai confessato e anche se l’avessimo convocato aveva la facoltà di non dire nulla. Non l’abbiamo ritenuto necessario. Invece ci sembrava importante approfondire altri aspetti e infatti abbiamo disposto una perizia e ascoltato i testimoni sui quali c’erano dubbi. È il ruolo dei giudici di appello. In quattro mesi siamo riusciti ad arrivare alla definizione».
I legali di Sollecito vi avevano chiesto di separare le posizioni.
«Motiveremo in maniera approfondita sul punto spiegando perché non abbiamo ritenuto di accogliere questa impostazione. In ogni caso Sollecito ha deciso di non farsi mai interrogare nel processo».
E questo ha influito sulla scelta di condannarlo?
«È un diritto dell’imputato, ma certamente priva il processo di una voce. Lui si è limitato a dichiarazioni spontanee, ha detto soltanto quello che voleva senza sottoporsi al contradditorio».
Negli anni sono stati ipotizzati moventi diversi. Voi che idea vi siete fatti?
«Abbiamo una convinzione e la espliciteremo nella sentenza. Al momento posso dire che fino alle 20,15 di quella sera i ragazzi avevano programmi diversi, poi gli impegni sono saltati e si è creata l’occasione. Se Amanda fosse andata al lavoro probabilmente non saremmo qui».
Vuol dire che l’omicidio è stata solo una casualità?
«Voglio dire che è stata una cosa tra ragazzi, ci sono state coincidenze e su questo abbiamo sviluppato un ragionamento. Sono consapevole che sarà la parte più discutibile».
La Cassazione ha demolito la sentenza di assoluzione. Lo farete anche voi?
«Non ne parleremo, noi dobbiamo concentrarci sul primo grado che nei fatti abbiamo confermato».
E non crede che ci siano stati degli errori?
«Non ho detto questo. Qualche cosa credo ci sia stata e la evidenzierò».
Avete condannato Amanda Knox ma non avete emesso alcuna misura cautelare nei suoi confronti. Perché?
«È legittimo che lei sia negli Stati Uniti. Al momento del delitto era in Italia per motivi di studio ed è tornata a casa sua dopo essere stata assolta. Lei è una cittadina americana. Il problema si porrà qualora dovesse esserci la necessità di esecuzione della pena. Adesso non credo fosse necessario un provvedimento».
E allora perché avete ritirato il passaporto di Raffaele Sollecito?
«Era il minimo sindacale. In questi casi l’ordinanza serve a prevenire qualcosa e noi dovevamo evitare che si rendesse irreperibile in attesa del giudizio definitivo».
E crede basti il divieto di espatrio?
«Sì, ci è sembrato più che sufficiente. Se poi dovessero esserci sviluppi li valuteremo».